Alle regionali manca quasi un anno ma il presidente del Lazio Nicola Zingaretti si porta avanti con il lavoro e annuncia la sua ricandidatura. Lo fa nel giorno di una visita ad Amatrice, città piegata dal terremoto dove ha inaugurato il primo ufficio speciale per la ricostruzione, («un luogo fisico dove cittadini e commercianti potranno consegnare i progetti e avere assistenza», se ne annuncia un altro ad Accumoli) e il sostegno alle imprese per un milione di euro. Coincidenza, insieme a lui c’è il magnetico sindaco della cittadina che potrebbe persino essere il suo sfidante a nome del centrodestra.

«È il tempo di prepararci politicamente alle elezioni del 2018» scrive Zingaretti su fb. «Propongo che dopo l’estate si dia vita agli stati generali del centrosinistra del Lazio. Siamo una coalizione larga, dobbiamo confermare una coalizione larga e vincente che raccolga non solo le forze del centrosinistra ma quella miriade immensa di forze che già 4 anni fa ci fece vincere, fatte di associazioni, di gruppi, di società civile, di tanti sindaci che sono stati eletti con le liste civiche e sono un patrimonio immenso». Oltre all’annuncio, siamo quasi al manifesto politico. La scelta di proseguire in regione con il centrosinistra è un anticipo della partita del dopo primarie. E in netta controtendenza con la linea dell’autosufficienza che dal Nazareno rischia di avvelenare giù per li rami tutte le partite locali. La vecchia e fin qui perdente vocazione maggioritaria di veltroniana memoria, ridottasi ad una vocazione alle larghe intese con Berlusconi dopo il voto, e prima all’alleanza con Alfano.

Zingaretti ne è consapevole e corre ai ripari. «Nicola non vuole che il Lazio finisca come Roma, dove ha prevalso una linea settaria e perdente», dicono i suoi. Lui, al contrario, è sempre stato fan delle coalizioni di centrosinistra, portando a esempio il suo «Modello Lazio», l’alleanza orgogliosamente rimasta in piedi mentre tutto intorno piovevano rotture, scissioni e guerre per bande. Grazie anche al detereminato sostegno del vicepresidente Massimiliano Smeriglio: ex vendoliano, all’ultima scissione si è unito a Giuliano Pisapia e a Mdp portandosi via due consiglieri del Pd e azzerando il gruppo di Sinistra italiana alla Pisana. Smeriglio infatti non se lo fa ripetere: «Nei prossimi mesi porteremo a termine molte delle azioni previste dal programma 2013. Ma è tempo di programmare il futuro. Sono pronto a fare la mia parte».

Zingaretti rivendica i risultati della sua giunta, dall’avvio del risanamento del buco nella sanità al rilancio della Regione. «Io mi candiderò con coscienza di aver fatto davvero tutto per cambiare il Lazio. Gli stati generali del centrosinistra saranno l’occasione per prepararci alla nuova vittoria». Ma è impossibile non vedere nella mossa anche un significato che va oltre la Pisana. Il presidente, come Andrea Orlando con cui è schierato – ma ai congressi di Roma per lo più ha vinto Renzi – è stato fin qui un punto di riferimento per gli anti-isolazionisti. Dentro e fuori il Pd. Non a caso ieri ha ricevuto subito l’appoggio di Pisapia: entusiasta per l’idea di Stati generali e per il «progetto che riunisce tutte le anime del centrosinistra» per opera «di chi ha governato bene».

Ma anche dal Nazareno l’annuncio viene accolto bene. Nonostante nessuno fosse stato avvertito. Subito prima del Lingotto Renzi aveva mandato Luca Lotti come ambasciatore offrendo un posto al senato per il governatore uscente. Zingaretti aveva declinato, e la risposta definitiva è l’annuncio di ieri. Ma il Lazio, nel Pd, è una storia a parte. E così ad applaudire il presidente si è precipitato il ministro Franceschini: «Una notizia bellissima». Una «buona notizia» anche per Roberto Morassut, responsabile della mozione Renzi ma legato a Zingaretti da un antico sodalizio politico con Goffredo Bettini. Ed è un «buona notizia» anche per Matteo Ricci, ex vicepresidente Pd e ultrà renziano. Nonostante l’abbia deciso con la sua coalizione e non al Nazareno (dove c’è un reggente, Orfini, ma non un segretario), la buona notizia è che la regione Lazio sembrerebbe messa al sicuro dai rovesci elettorali. E a Renzi si libera di un avversario interno considerato da sempre, a torto o a ragione, temibile.