All’inizio della giornata Nicola Zingaretti, da Chieri, nel torinese, dov’è per il tour de force dei ballottaggi, para il colpo. «No comment», titolano le agenzie. Il segretario Pd schiva le domande sulle indiscrezioni di stampa che riferiscono delle cene fra magistrati (oggi indagati) e due parlamentari Pd. E che parlamentari. Luca Lotti, ex braccio destro di Renzi. E Cosimo Ferri, figlio del ministro Enrico, magistrato come il padre, capo della corrente di destra Magistratura indipendente, sottosegretario del governo Letta in quota Forza italia, confermato nei governi Renzi e Gentiloni, infine oggi eletto nel Pd ad Arezzo, in quota Renzi.

Nel pomeriggio è l’ex capo dell’antimafia Franco Roberti a far esplodere le polveri, con un post al vetriolo su facebook. «Chiedo al Pd, finora silente, di prendere una posizione di netta e inequivocabile condanna dei propri esponenti coinvolti in questa vicenda, i cui comportamenti diretti a manovrare sulla nomina del successore di Giuseppe Pignatone sono assolutamente certi». Roberti, che è stato anche assessore nella Campania di Vincenzo De Luca, è un fiume in piena. Ricorda quando nel 2014 Renzi abbassò l’età pensionabile dei magistrati. «Sciagurata iniziativa», scrive, per «liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti» e «tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più ‘sensibili’ di alcuni loro arcigni predecessori verso il potere politico». Quella di Roberti è già una sentenza: la vicenda nota è «solo la punta dell’iceberg». Alla sua richiesta si aggiunge quella di un altro ex magistrato ed ex parlamentare Pd, lo scrittore Gianrico Carofiglio: «Zingaretti batta un colpo. È sconcertante che in quella stanza d’albergo oltre ai magistrati ci fossero esponenti dem. I responsabili in questa vicenda facciano un passo indietro, o di lato, ma per andare altrove».

Zingaretti non può più glissare. Anche perché la vicenda giudiziaria finiscono per dar forza alle iniziative della Lega e agli attacchi M5S. Ma sceglie con cura le parole: chiarezza sulla vicenda del Csm, per il Pd «il principio di autonomia dei diversi corpi istituzionali è sacro» e, infine: «Mi auguro che tutte le persone coinvolte partecipino a questa ricostruzione degli accadimenti». L’orecchio allenato sente un invito ai suoi due parlamentari. Di più non può: Lotti e Ferri non sono indagati. Secondo le ricostruzioni sarebbero però presenti alle cene in cui il magistrato Palamara, leader della corrente Unicost, avrebbe cercato di favorire nomi graditi nelle procure e nel Csm, e sfavorire i meno graditi: fra cui i pm che hanno indagato su Consip e famiglia Renzi.

Dal canto suo Renzi tace. Da tempo con il suo ex braccio destro c’è freddo. Lotti lo ha lasciato alla velleità di fondare un nuovo partito e si è messo in proprio: fondando nel Pd una corrente di minoranza, Base Riformista, opposizione «realista» al nuovo corso. Parla Ettore Rosato, responsabile dei comitati di Renzi: «Se ci sono delle ombre, bisogna toglierle». C’è chi la legge come una presa di distanza ispirata dal senatore di Scandicci.

Ed è qui che Lotti rompe il silenzio in cui si era blindato da giorni: ricorda di non aver commesso reati, parla di «accuse infondate e infamanti». «Pare che incontrarmi o cenare con me sia diventato il peggiore dei reati: se così fosse in molti dovrebbero dimettersi, magistrati e non». Parole pesanti verso chi ne chiede indirettamente le dimissioni, Roberti e Carofiglio. Ma sembrano lanciate a spettro molto più ampio: per anni Lotti è stato il plenipotenziario di Renzi. Dalla cui area proviene anche il vicepresidente del Csm Davide Ermini. Che oggi, in asse con il Colle, riferendosi ai magistrati indagati, parla di «ferita profonda» e «discredito» da riscattare.