«Il risultato della Sardegna disegna un bipolarismo incentrato sullo scontro tra centrodestra e centrosinistra. Solo qualche mese fa si era tutti convinti che il bipolarismo fosse quello tra Lega e 5S»: è il bilancio che Nicola Zingaretti ha fatto ieri a Napoli, dove è arrivato per un mini tour in vista delle primarie di domenica. Il bicchiere sarebbe quindi mezzo pieno: «C’è un popolo democratico, del centrosinistra che non è scomparso. Ha però avuto poca fiducia nella possibilità di avere una forte rappresentanza, che Zedda e Legnini hanno comunque risvegliato. Dobbiamo lavorare su questo con pazienza e non con la cultura del sospetto. Più unità, meno divisioni».

Zingaretti attacca il governo su due nervi scoperti: la recessione e l’autonomia regionale sbilanciata: «Quando la crescita cala, quando la produzione industriale crolla siamo alla vigilia di una catastrofe, dovremmo porre un’agenda diversa. Al primo punto il lavoro e poi la ripresa di una stagione di sviluppo». E sull’autonomia: «Va bene se serve a migliorare la qualità dei servizi, no se distrugge l’Italia e offende i diritti costituzionali».

La giornata di Zingaretti è cominciata con due bordate dal suo stesso campo. Roberto Giacchetti, candidato alle primarie per conto di Matteo Renzi, a Repubblica ha detto: «Non mi fido di Nicola». E Massimo Calenda, sul Corsera: «Il listone Zingaretti non c’entra nulla con il manifesto ’Siamo europei’». Il governatore del Lazio scansa le polemiche: «Votate chi vi pare ma andate a votare alle primarie: se ci sarà tanta gente, dal giorno dopo sarà diverso. Se, dopo il 4 marzo, gli italiani dovessero percepire che non cambia nulla allora le cose si complicano». Discontinuità, quindi, e nessuna messa in liquidazione del partito, come viene ventilato da Calenda: «Il Pd è malato, ma non esiste nessuna possibilità di ricostruire un’alternativa che non abbia in questo partito nuovo che dobbiamo costruire il baricentro».

I candidati alle primarie – Zingaretti, Giachetti e Maurizio Martina – si confronteranno su Sky giovedì, per loro la modesta fascia delle 13. Intanto l’ex premier Paolo Gentiloni si pone in linea con il governatore del Lazio nella costruzione di una coalizione intorno ai dem : «Alle europee il Pd deve portare la stessa logica delle regionali, una logica di unità, la più larga possibile». Il diversamente renziano Martina (ancora segretario di transizione) professa unità proponendo una segreteria con i due sfidanti dentro in caso di sua vittoria, ma mantenendo un minimo di continuità con la stagione che sta per chiudersi: «Ci vuole il rilancio della vocazione riformista, aperta e inclusiva. Nessuna nostra tradizionale coalizione può bastare contro questa destra». Zingaretti ricambia offrendo a sua volta un posto in segreteria a Martina. Il governatore incarna quel pezzo di partito che con l’elettorato 5S cerca di tenere aperte le comunicazioni, il turborenziano Andrea Marcucci assesta il colpo: «Il M5S incassa una batosta memorabile: gli italiani stanno iniziando a conoscerli».

Un occhio ai gazebo nazionali e uno a quelli campani, Zingaretti ieri era a Napoli anche perché è stata l’unica regione con la Sicilia che l’ha visto soccombere nel voto dei circoli. Indiziati numero uno i ras locali dei voti: in Campania il governatore Vincenzo De Luca, che appoggia Martina. Ieri la prima tappa è stata dai maestri di strada Marco Rossi Doria e Cesare Moreno. Fermata successiva la presentazione del libro Il popolo perduto. Per una critica della sinistra di Andrea Bianchi e Mario Tronti, presenti Goffredo Bettini e Antonio Bassolino, cioè il mondo che viene dal Pci. «Vado a votare, anche se è dura dopo le schifezze delle primarie del 2015» il commento di Bassolino, che ha invitato a guardare oltre pariti e partitini di sinistra, «nella società dove continuamente succedono cose». Il campo di Zingaretti è spaccato tra chi appoggia la rielezione di De Luca, l’anno prossimo, e chi chiede discontinuità. Spiega l’orlandiano Marco Sarracino: «Nicola rappresenta l’unica piattaforma politica in grado di ricostruire un campo largo di centrosinistra, uscendo dell’isolamento politico nel quale siamo finiti a causa delle scelte errate di chi governava il partito e le istituzioni nazionali e campane».