Difronte all’esplosione del caso Palamara, con le intercettazioni che mostrano Luca Lotti e Cosimo Ferri alle prese con le manovre per orientare le nomine nelle procure di mezza Italia, i parlamentari dem ieri si sono appellati al segretario: «Parli Zingaretti». E nel tardo pomeriggio Nicola Zingaretti ha diffuso una nota da consumato diplomatico: «Agli esponenti politici del Pd protagonisti di quanto è emerso non viene contestato alcun reato. Ogni processo sommario va respinto». Ma, aggiunge, «il Pd non ha mai dato mandato a nessuno di occuparsi degli assetti degli uffici giudiziari. Il partito che ho in mente non si occupa di nomine di magistrati». Replica Lotti: «Sono un po’ sorpreso che il segretario abbia sentito la necessità di dire che il ’suo’ Pd non si occupa di nomine di magistrati: anche io faccio parte del ’suo’ Pd e non ho il potere di fare nomine».

I 5 Stelle attaccano i dem: «Lo scandalo si fa ogni giorno più torbido, un quadro veramente inquietante per la buona salute della nostra democrazia. Quello che apprendiamo racconta di una commistione di interessi, di sovrapposizioni di ruoli, di interferenze inaccettabili». E se il presidente dei senatori Pd Andrea Marcucci difende Lotti («Non c’è nessun reato contestato. Esprimo la mia più totale solidarietà al collega»), tocca a Zingaretti parare i colpi: «Mi atterrò sempre al principio garantista e di civiltà giuridica secondo il quale prevale la presunzione di innocenza fino alle sentenze definitive. L’oggetto delle indagini non sono le frequentazioni ma il loro merito. Attendiamo che si faccia piena luce». Ma, avverte, «la politica valuta, interloquisce, si confronta, esprime opinioni ma non dà consigli, né si dedica a organizzare maggioranze» nel Csm.
Intanto, Berlusconi può finalmente scatenarsi contro le toghe: «La situazione attuale impone una profonda riforma dell’ordinamento giudiziario. Noi di Forza Italia chiederemo udienza al Capo dello Stato»