Dalla «vocazione maggioritaria» alla «vocazione unitaria». Dal pulpito della chiesa sconsacrata dell’abbazia del San Pastore a Contigliano, nella reatina Valle Santa, Nicola Zingaretti celebra con orgoglio il suo «partito unito», «pilastro» della ritrovata democrazia liberale italiana dopo l’avventura gialloverde. Agli ex avversari ora alleati propone un «patto di legislatura» per arrivare al 2023 e, nell’immediato, passare in ogni caso indenne la nottata delle regionali del 26 gennaio. La vera «sfida» è quella di un paese che non cresce e della solitudine delle persone in difficoltà che si affidano a Salvini, «non il chiacchiericcio inutile sui rapporti tra di noi, questo problema lo abbiamo lasciato alle spalle», dice Zingaretti a conclusione del conclave dem. Alle spalle comeil 2019 segnato dalla precipitosa nascita del governo e dal faticoso parto della manovra.

IN EFFETTI IL TITOLO «piano strategico per l’Italia» è roboante e suggestivo. E non si può sostenere che sotto gli slogan della proposta dem per l’annunciata verifica di governo non ci sia niente. C’è la trasformazione di Taranto in città verde simbolo del rilancio del paese; l’incremento della spesa per la conoscenza – così bassa che per il momento ha provocato le dimissioni del ministro dell’Istruzione; 500 mila nuove assunzioni nella pubblica amministrazione (Qui accanto proponiamo una scheda riepilogativa).

MA CERTO IL SEGRETARIO PD tende a valorizzare molto l’apporto del Pd al governo. E a semplificare altrettanto il rapporto con gli alleati 5 stelle. E infine a dare per approvata l’idea che negare «la discontinuità» fra governi Conte 1 e Conte 2 sia «un’idiozia», tesi sostenuta il giorno prima dallo stesso pulpito da Dario Franceschini.

È UNA VISIONE «IN ROSA» della maggioranza e del Pd, complice l’illuminazione della navata del San Pastore. Quasi un abbaglio. Nel dibattito che lo precede le differenze interne vengono alla luce. Matteo Orfini è contrario alle «nozze» con i 5 stelle. E anche alla subalternità nei fatti del Pd sull’azione di governo. Sulla sicurezza, attacca, «continuiamo ad applicare il protocollo di Salvini. Possiamo dire che su questo non c’è discontinuità o sono un idiota a dirlo?», «Se vogliamo abrogare i decreti sicurezza facciamo una battaglia davvero o lo diciamo ma siccome sappiamo che è impopolare poi non lo facciamo?». Il presidente dei deputati Graziano Delrio, di matrice cattolica, cercherà una mediazione spiegando che «sul ripristino degli Sprar» – i progetti di integrazione per richiedenti asilo e rifugiati, gestiti dagli enti locali e smantellati dal primo decreto Salvini – qui chiesto anche dal sindaco di Bologna Merola, «i 5 stelle sono d’accordo». Ma nella relazione di Zingaretti non viene ripreso. La linea ddel segretario, anticipata il giorno prima ancora da Franceschini, punta solo alla modifica del secondo decreto Salvini, partendo dal «recepire i rilievi del presidente della repubblica», su cui c’è accordo di maggioranza, per poi eventualmente cercare in parlamento i voti per il migliorare i testi. Ma senza un precedente accordo di maggioranza quei testi non saranno mai migliorati né tantomeno abrogati. E dire che il segretario Pd li chiama «decreti propaganda». Nella relazione finale non c’è traccia neanche dell’urgenza dello ius culturae, che pure il segretario aveva proclamato a novembre all’assemblea di Bologna.

IL VICESEGRETARIO ORLANDO è fra i più favorevoli all’alleanza con i 5 stelle, anche oltre il governo, eppure, spiega, «ai nostri alleati dobbiamo dire, visto che l’antipolitica crea angoscia, o rinunciate all’antipolitica o la difficoltà di portare avanti questo governo crescerà». Se Franceschini bacchetta chi, dal Pd e dal partito di Renzi, chiede la cancellazione del reddito di cittadinanza («una battaglia difficile da capire»), d’altro canto fra le molte proposte sul lavoro il segretario non ne comprende quella, del ministro Provenzano, di «riscrivere lo statuto dei lavoratori, a 50 anni di distanza dal primo». Sarebbe un superamento di fatto del jobs act. Ai tavoli se n’era discusso. Ed era una delle richieste anche di Maurizio Landini, segretario della Cgil, l’ospite più applaudito dall’assemblea di Bologna.

IL PARTITO SARÀ ANCHE «unito come mai», come assicura Zingaretti. Ma dal sindaco di Bergamo Gori, emergente leader dell’area ex renziana, al capogruppo dei senatori Marcucci, l’alleanza «organica» con i 5 stelle è considerata un errore.

A CONTIGLIANO viene per lo più rispettata la richiesta di non discutere dello «scioglimento del Pd» avanzata da Zingaretti a mezzo stampa. Ma tutto il gruppo dirigente è perplesso di fronte a una proposta giudicata «estemporanea». Ci sarà tempo per discuterne a congresso, certo. Ma prima del congresso c’è la tornata delle regionali di primavera. Anche lì per il Pd non sono tutte rose e fiori. In Puglia l’uscente Emiliano ha vinto le primarie, ma i renziani presenteranno un candidato proprio. E in Campania De Luca, che ieri ha avuto un lungo colloquio con Zingaretti, è il candidato Pd. Per Di Maio, per pensare a una convergenza, il ritiro di De Luca è una precondizione.