«O facciamo una rivoluzione o non ce la faremo». All’assemblea nazionale del Pd la standing ovation per il segretario è così esagerata che farà scherzare – ma non troppo – Gianni Cuperlo, «Un applauso sovietico, Nicola però diciamo che non è un modello». Il segretario rassicura, il suo è un «no al modello Salvini». Ma nell’entusiasmo della platea dell’Ergife di Roma c’è tanto non detto. Innanzitutto c’è la speranza che la «seconda fase» che il segretario annuncia faccia uscire dalla clandestinità l’opposizione democratica al governo giallobruno. Anche se Zingaretti ha un’idea tutta sua su questo: «Il voto per il Pd è in aumento: se non parlano di noi non è perché contiamo di meno ma perché temono il nostro recupero». La scommessa è sull’alternativa, cioè su una coalizione che tonifichi le magre forze di partito. Ma nell’applauso c’è anche l’auspicio che il passato passi una volta per tutte: il convitato di pietra è Matteo Renzi e la sua «riconquista» del Pd. Dal palco nessuno lo nomina. L’unico a rivolgersi all’ex segretario, anche lui senza nominarlo, è proprio Cuperlo, che è diventato presidente della Fondazione Pd: «Non dobbiamo tornare al passato remoto ma neanche a quello prossimo, l’Italia ha bocciato l’impianto di alcune delle nostre riforme».

ZINGARETTI ATTACCA LA LEGA e quasi snobba i 5 stelle. La prima «difende gli interessi dei ceti più ricchi», i secondi «stanno perdendo l’anima, sono diventati un’amara stampella che sorregge un progetto non loro». «La destra è stata più brava di noi a rappresentare la protezione di cui ha bisogno una fascia sociale ampia, ma nello stesso tempo, la tradisce. Dobbiamo denunciare questa contraddizione». E proposito di tradimenti, c’è l’Affaire Monopol: sui presunti fondi neri indaga la magistratura, ma «c’è un disegno di partiti europei per tradire l’Alleanza Atlantica?».

ZINGARETTI LANCIA LA ‘FASE DUE’ della sua segreteria, «un secondo atto della rigenerazione del Pd». Le europee non sono andate male e sono finite con l’inaspettata elezione di David Sassoli alla presidenza dell’europarlamento; il sorpasso del M5s è consolidato nei sondaggi, così la crescita del Pd, anche se lenta e mentre la Lega continua a crescere. Il voto anticipato non ci sarà, dunque c’è il tempo per costruire un programma e ricostruire «un Pd più vicino alle persone». Il segretario ha iniziato un viaggio per l’Italia. E da ieri è online la Costituente delle idee, una piattaforma per raccogliere le proposte per il programma, a cui però il segretario dà già un’impronta laburista: su fisco, green new deal, scuola, lavoro. La Costituente finirà in una conferenza programmatica a Bologna dall’8 al 10 novembre . Ma nelle intenzioni dovrebbe fare i conti anche con i contributi dei ’civici’ e dei domitati dati in avvicinamento.

MA C’È ANCHE DA METTERE mano all’organizzazione: «La riforma del partito è necessaria perché lo strumento che abbiamo non è più utile a svolgere la sua funzione. Dobbiamo cambiare tutto», spiega, discutere è «un gran bene» ma troppo spesso nel partito «c’è gruppo dirigente nazionale attorno a leader ma poi c’è un regime correntizio che appesantisce tutto. Ci sono realtà territoriali feudalizzate che si collocano da una parte o dall’altra, con un leader o un altro a prescindere dalle idee». Si sente l’eco delle storiche denunce di Goffredo Bettini, ma la proposta è vaga.

TANTO PIÙ CHE DAL DIBATTITO si capisce che fra la composita nuova maggioranza e la minoranza renziana c’è un abisso, persino nel linguaggio. Se Zingaretti parla di «grande piano per l’alternativa», di vaga memoria berlingueriana, Ascani si ribella, o forse non coglie: quella parola «alternativa», dice, contiene «un errore politico, perché «dicendosi alternativi diventiamo subalterni a chi governa questo paese».

MA LA VERA QUESTIONE, più che le correnti, è la chiarezza della direzione. Del partito e della linea politica. Per quanto riguarda il partito, Maurizio Martina (eletto presidente della commissione statuto) aveva già dato per finito l’automatismo segretariocandidato premier. Ascani anticipa il no dei turborenziani: «Il problema di adeguare lo statuto ce lo dobbiamo porre. Ma non va stracciato». Ed è vero che ha a che vedere con l’idea di partito (vocazione maggioritaria o alleanze), ma anche che in dieci anni a questa regola ci sono state ben tre eccezioni, una delle quali ha consentito a Renzi di partecipare alle primarie per la premiership contro Bersani (2012, ma le ha perse).

MOLTO PIÙ SPINOSI sono i dissensi su altre questioni. La Libia. Un giovanissimo milanese, Giacomo, infiamma la platea gridando «mai più soldi alle bande libiche», ripreso dal Pier Francesco Majorino, già assessore milanese e ora europarlamentare. La pacata Lia Quartapelle risponde «più Italia in Libia», difendendo gli accordi stretti dal governo Gentiloni e del ministro Minniti, tutti e due grandi elettori di Zingaretti. Nella replica Zingaretti (sor)vola alto sull’assenza della politica estera al governo.

POI C’È L’AUTONOMIA REGIONALE. Marco Furfaro, ala sinistra di Piazza Grande, chiede di dire no. «In un Paese in cui 34 bambini su 100 sono coperti dall’asilo pubblico a Milano mentre solo 3 a Napoli, non spacchi l’Italia con un’autonomia che è la secessione dei ricchi del Nord dai poveri del Sud». Gli emiliani però sono con il presidente Bonaccini e il suo progetto di autonomia, diverso da quello lombardo-veneti ma che rischia di fungere da utile idiota alle mire leghiste. Rimandato ad altra sede anche il grido di allarme sulla ricandidatura di Emiliano alla regione Puglia, renziani e Calenda sono contrari. Francesco Boccia è nominato presidente della commissione digitale, Andrea Orlando e Paola De Micheli eletti vicesegretari, il primo sarà vicario.