No, giurano dal Nazareno, «nessuna volontà di contrapposizione con il premier». A buttare acqua sul fuoco divampato sulla proposta degli Stati generali dell’economia sono molti dem. Ma nessuno nega la sostanza della questione: persino Dario Franceschini, il capodelegazione del Pd al governo, ha appreso dell’ennesima iniziativa estemporanea del premier dall’ennesima conferenza stampa. Anche se c’è chi giura che i dem avrebbero fatto a meno di far sapere alla stampa dei malumori, che – secondo questa tesi – sarebbero invece filtrati dai 5 stelle, alcuni dei quali ugualmente stanchi degli «assolo» del premier. Ieri mattina, dopo una videochat fra il segretario Zingaretti, i capigruppo di Camera e Senato e la delegazione dei ministri, la posizione è diventata quasi ufficiale: nessuna contrapposizione, dunque, «piuttosto è stata confermata l’esigenza di costruire da subito un percorso per affrontare in maniera adeguata le grandi sfide economiche e sociali che abbiamo dinanzi. Ma che sia un percorso serio e concreto. E che coinvolga appieno realmente e non in maniera superficiale le migliori energie». Meno diplomatico il vicesegretario Andrea Orlando ai microfoni del Tg4: «Che ci sia urgenza siamo tutti d’accordo, ma evitiamo improvvisazioni. Chiamare gli Stati generali significa chiamare tutto il Paese a raccolta e bisogna che si producano fatti e non chiacchiere», e ancora, «Non solo non siamo contrari ma lo abbiamo proposto noi questo passaggio. L’obiezione è sulla modalità, non ci convinceva l’idea che lunedì si chiamassero gli Stati generali senza prima definire la proposta del governo e dire come vogliamo spendere i soldi dell’Ue».

Al di là dell’episodio, il Pd della «fase 3» cerca di segnare un cambio di passo. Non tanto per paura dei sondaggi che vedono il premier consolidare il suo consenso (fatto che, è la tesi, avrebbe consigliato la sua macchina della comunicazione a convocare all’improvviso un altro evento costruito intorno alla sua figura). Quanto in vista dei prossimi passaggi, e di un autunno che si annuncia durissimo. A prepararsi con serietà.

L’approvazione delle misure economiche, innanzitutto. La mano tesa a Berlusconi, ricambiata, l’invito a ritrovare «un’anima patriottica» è il segno del tentativo di assicurare al governo, fuori dalla sua maggioranza, una «zona di sicurezza azzurra» in vista delle turbolenze del M5s sul Mes. Il cui utilizzo al Nazareno sono certi che verrà approvato, anche perché distribuisce soldi con cui i presidenti di regione (anche leghisti) potranno rafforzare gli ospedali e la famosa «sanità territoriale». L’obiettivo è che venga approvato con i voti della maggioranza, e non potrebbe essere diversamente, pena la caduta del governo. Ma un «cuscinetto» di sicurezza forzista, soprattutto al senato, potrebbe aiutare a oltrepassare l’ostacolo con minori turbolenze.

Peraltro Forza Italia, che ormai sopporta sempre meno l’alleanza con i suoi alleati eurosfascisti, voterà sì in ogni caso.

E poi, poi si fa per dire, c’è la legge elettorale. Che non potrà essere fatta a colpi di maggioranza. Per questo Zingaretti cerca alleati sul proporzionale. Potrebbe trovarli proprio in Forza Italia, se è vero che qualche giorno fa il senatore Andrea Cangini, forzista liberale che malsopporta l’alleato Salvini, spiegava a un suo collega: «Dobbiamo innescare un processo in cui le identità di ciascun partito maturino, si completino. Non significa la fine del centrodestra, ma non è più il tempo di alleanze accozzate forzosamente che poi portano a coalizioni ibride non in grado di governare».