«Mentre straparlano e litigano lo spread schizza a 281 punti. Se continua così non avranno più i soldi per pagare i servizi come scuola e sanità». Nicola Zingaretti infittisce gli attacchi agli alleati-duellanti del governo giallobruno. Per il Pd con i motori al massimo per l’ultimo miglio della campagna per le europee, Lega e M5s sono ormai uguali: l’analisi differenziata delle primarie è sparita. Al suo posto oggi c’è la lettura (già renziana) del ‘pari sono’.

EPPURE IL SEGRETARIO DEM è costretto a camminare in equilibrio su un filo: puntare a riprendersi i voti di sinistra finiti nella rete di M5s ma anche allontanare il sospetto che in un secondo momento, dopo le europee e persino dopo il voto politico, il suo partito finirà fatalmente per essere alleato dei grillini.

È QUELLO CHE COMMENTATORI e analisti considerano «un destino». È l’opinione che campeggiava ieri dalla prima del Corriere della sera e che nel pomeriggio ha ribadito il filosofo Massimo Cacciari, ospite conteso dai talk anche se non infallibile nelle previsioni.

MA È UN RAGIONAMENTO che ha un suo fondamento nella piana aritmetica dei voti. E che Zingaretti deve stoppare a tutti i costi. La sola ipotesi di convergenza anche su singoli temi con i 5 stelle, che la Lega fa circolare per indebolire l’alleato grillino – dal salario minimo alle norme Salva-Roma – innervosisce i renziani in parlamento. E prima che nel movimento grillino, esposto alle giravolte del capo politico, è nel Pd che può innescare un meccanismo esplosivo.

LUNEDÌ SCORSO su Repubblica Matteo Renzi si è vantato di aver «salvato l’onore del Pd» impedendone l’alleanza con i grillini subito dopo il voto del marzo 2018. Per i zingarettiani il tema è un tabù («La questione di un’alleanza con M5S non si pone», la risposta ricorrente). Ma per una parte del gruppo dirigente resta un nervo scoperto. Ieri per l’ennesima volta Carlo Calenda ha replicato a un elettore che su twitter lo avvertiva che in caso di «aperture ai 5 stelle non potrò più sostenere il Pd». La risposta dell’ex ministro è eloquente: «Se dovesse succedere, e non lo credo, prenderemo insieme un’altra strada».

ZINGARETTI DUNQUE ATTACCA al massimo delle sue forze il governo, ne chiede le dimissioni «anche prima delle europee», avverte che in caso di crisi il Pd non sosterrà nessun governo tecnico. Ma il suo ragionamento non può andare oltre. Il «Piano per l’Italia» che presenterà questo pomeriggio al Nazareno, ovvero le misure di politica economica del Pd per il paese, vogliono mostrare un partito pronto alla battaglia della finanziaria e in caso anche pronto a governare. Ma con chi, se la coalizione di centrosinistra non dovesse bordeggiare il 50 per cento? Nella coalizione, peraltro, le idee sui 5 stelle sono a dir poco più sfumate. «Il M5s va inchiodato alle proprie contraddizioni e responsabilità. Ma non credo affatto che siano come la Lega vicina a Orban, Kurz e Marine Le Pen» ha ripetuto ieri Roberto Speranza (Art.1) a Roma, a margine di un comizio con Zingaretti e il candidato presidente del Pse Timmermans.

DALL’ALTRA PARTE, e cioè dalla parte dei 5 stelle, il sospetto di preparare un’alleanza di governo con il Pd, che Salvini agita apposta, è comunque pericoloso. Per questo ieri Di Maio a Matrix (Canale 5) sottolinea la distanza dai dem. «Il Pd è ancora più subdolo, è il Pd dei renziani con Zingaretti davanti, non ci voglio avere nulla a che fare». Poi lo ripete a Dimartedì (La7): «Il Pd è un semaforo: sta fermo. È lo stesso partito che ha cambiato solo volto, non ho nessuna sintonia».

C’È UNA SINTONIA negli attacchi reciproci, semmai, per interessi uguali e opposti. Nella stessa trasmissione Zingaretti infatti lo riattacca: «Si dice che adesso Di Maio è diventato di sinistra», «è un trucco», «non si può dire che è uno scandalo che Salvini si allea con i neonazisti in Europa e poi permettergli di fare il ministro dell’interno», «una persona di sinistra non lo permetterebbe mai».