A Modena è la giornata dell’orgoglio del Pd e del suo segretario Nicola Zingaretti. Nel grande prato dell’arena spettacoli, davanti ad alcune centinaia di militanti rigorosamente distanziati, il segretario chiude la prima festa nazionale dell’Unità post-Covid, due settimane di incontri, 100mila visitatori, quasi un miracolo in tempi di pandemia. Evita gli spigoli contro i tanti che, dentro e fuori il Pd, in queste settimane l’hanno criticato, ma lancia diversi messaggi. In primis al premier Conte: “Il governo lo sosteniamo e lo sentiamo nostro, ma baste con i ‘se’, le attese e i ritardi”. In mattinata il vicesegretario Andrea orlando era stato ancora più esplicito: “Credo che non si tratti tanto di cambiare questo o quel ministro ma di aprire una fase nuova, al governo serve un tagliando. Con chi lo deciderà Conte ma che si tratti di disporre la squadra in assetto diverso è un’esigenza che deriva da questa fase”.

Zingaretti parla agli alleati: “Basta con le ipocrisie di chi va in tv a fare la parte degli avversari: questo logora l’immagine di un’alleanza che deve essere unita da una missione, da un’identità. Siamo uniti non per occupare poltrone ma per realizzare un programma di rinascita dell’Italia”. Ai suoi compagni di partito: “Faccio autocritica, mi assumo la responsabilità dei ritardi nell’innovazione del partito e chiedo scusa. Ora basta”.

Agli elettori del M5S delle regioni al voto il 20 e 21 settembre lancia un appello: “Stiamo combattendo non contro il centrodestra ma contro la destra estrema, in Toscana la candidata della Lega dice di essere equidistante tra fascismo e antifascismo. Quelle non sono mani sicure, è possibile fermarli se tutti votano i candidati più competitivi, è buon senso parlare di voto utile: c’è un solo partito che può fare da argine alle destre”. “In gioco”, si accalora Zingaretti, “non c’è il futuro di un leader o di un partito, ma dell’Italia e dell’Europa”.

L’analisi del segretario dem parte dal settembre dello scorso anno, il battesimo del governo giallorosso. E l’obiettivo è tranquillizzare una base preoccupata dalla crisi economica e da un partito che dona sangue a Conte. “Abbiamo legato il futuro dell’Italia al destino dell’Europa, e abbiamo avviato il suo cambiamento. Con il Recovery Fund abbiamo cambiato la storia italiana, abbiamo fatto una politica utile alle persone: questo significa essere riformisti”. Stoccata a Renzi: “In Italia ci sono molti sedicenti riformisti che alla fine non cambiano niente, nascono partiti solo per gratificare i loro leader e non per cambiare la vita delle persone”.

Zingaretti propone il suo Pd come il partito che “risolve i problemi”, “dicono che tendo a sopire le polemiche, è vero, credo nelle idee e non nel chiasso delle voci, nelle inutili scintille”. A Roberto Saviano, che ha lanciato improperi contro i dem per il Sì al referendum, dice: “Le sue critiche mi hanno colpito e ferito, ma il Pd è un presidio di democrazia e legalità, chi pensa di trovare qui un pericolo o un avversario sbaglia. Senza questo popolo l’Italia sarebbe peggiore”. E ancora: “Noi non chiediamo solo voti contro qualcuno, ma coscienti di aver fatto bene e di poter fare ancora”.

Applausi dai militanti, che restano invece freddi quando il segretario ribadisce le ragioni del Si: “Combatto per far partire un processo di riforme, io odio l’antipolitica ma non cambio idea sul taglio dei parlamentari se qualcuno usa gli argomenti dell’antipolitica per difenderlo”. Come dire: l’idea era nostra, non di Di Maio. Ma la platea non apprezza.

Il discorso verte tutto sulla contrapposizione tra speranza e odio. “Il governo deve fare passi in avanti, ora che il Paese sta uscendo dalle secche. Il Pd chiede una nuova missione chiara e leale per una rinascita italiana”. Ai grillini spiega che “non siamo subalterni, siamo forze diverse e distinte”. E sgnala le differenze: “Combatteremo per usare il Mes per la sanità pubblica, per una giustizia che si ispiri a una cultura garantista”.

Ribadisce gli appelli all’unità interna al Pd, annuncia una rifondazione del partito, una grande Agorà “prima di Natale”, dove chiamare “a costruire progetti una generazione stanca di aspettare, laureati, giovani, imprenditori”. Chiede ai giovani di “sfondare le porte dei nostri circoli, venite fondate una nuova base, non aspettate segnali, dateli”. Ai giovani “non promettiamo la bella vita, ma se vincono le nostre idee noi promettiamo una vita bella”, la frase finale, prima che inizino le note di Bella Ciao.

Arriva immediato l’elogio di Dario Franceschini, considerato l’alleato fondamentale di Zingaretti dentro il Pd (assente a Modena, aveva anche annullato il suo dibattito a inizio settembre): “Un discorso chiaro e forte sia nell’analisi delle scelte che abbiamo fatto nell’anno che abbiamo alle spalle, sia nell’indicare la strada da seguire per partito e governo”.

Sul palco anche il governatore emiliano Stefano Bonaccini, considerato un possibile sfidante per la segreteria, che sprona i candidati alle regionali: “Tutto è possibile se si ha coraggio, una classe dirigenti non la vedi quando c’è il sole, ma quando piove. Anche in Emilia dicevano che avremmo perso…”. “Oggi le persone cambiano voto molto spesso, il Covid ha messo in crisi i populisti in tutto il mondo, per noi si aprono delle opportunità. Ma chi ha paura forse deve cambiare mestiere”. Per un giorno le rivalità interne restano sotto il tappeto. Tutti col fiato sospeso, in attesa del voto della settimana prossima.