«Ci siamo ispirati a un lungo poema di Guo Xiaochuan sulla guerra contro i Giapponesi. La nostra troupe era composta da giovani appena diplomati alla Scuola di cinema di Pechino, nessuno era abbastanza vecchio per aver vissuto quella guerra. Abbiamo adattato il testo di partenza perché la visione della guerra che ne scaturiva era diversa da quella che di solito si trova in letteratura. Non vengono affrontati i rapporti fra i soldati e la popolazione, o come due eserciti si combattono fra loro, ma si narra una tragica storia di cui non si parla nelle cronache ufficiali o negli aneddoti storici … Negli anni ’50 e ’60 il cinema cinese ha prodotto alcuni pregevoli film di guerra, ma ogni generazione deve creare una propria arte, superando i vecchi modelli … Diversamente dal poema, il film sposta l’attenzione dal comandante ai banditi. Anch’essi fanno parte di questo Paese. Non sono dei criminali, ma dei personaggi in continua trasformazione…».

Così Zhang Junzhao raccontava il lavoro su The One and the Eight (Uno e otto) girato nell’84, che viene considerato il manifesto fondatore di quella Quinta Generazione del cinema cinese apparsa tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. E non solo perché alla fotografia troviamo Zhang Yimou, che di Zhang Junzhao è coetaneo, e di quell’onda è stato tra i protagonisti (esordirà qualche anno dopo, nell’87, con Sorgo Rosso) ma perché il film dichiara il punto di vista di quella che è appunto una nuova generazione di registi mossi dal desiderio di rompere i dettami della propaganda e di un cinema messo sotto controllo governativo con storie e personaggi che, seppure in una trama di suggestioni, mostrano le crepe della società cinese in quel momento.

E dichiarano con prepotenza un desiderio di libertà artistica e di pensiero – pochi anni dopo, nell’89, ci saranno i carrarmati in piazza Tienanmen contro la protesta – che si manifesta nelle invenzioni formali (qui bianco e nero e colore, macchina a spalla, sfumature di fango, ocra e rosso), nella scelta dei set, e soprattutto capovolgendo la narrazione storica trionfalistica e celebrativa della guerra cino-giapponese.
The One and the Eight segue una banda di ladri, disertori e spie, focalizzando l’attenzione sui complessi rapporti che si stabiliscono fra questi e un comandante cinese ingiustamente accusato e imprigionato insieme a loro. Alla censura, che aveva già controllato la sceneggiatura non piacque per niente, vennero imposti infiniti tagli bloccando il futuro professionale di Zhang Junzhao.

Da allora è passato molto tempo, nuove generazioni di registi cinesi sono apparse nel panorama internazionale con un piglio critico, almeno quelli più interessanti, nel confronto con una Cina molto diversa ma sempre piena di conflitti, e di censura, mentre alcuni dei protagonisti della Quinta Generazione hanno scelto una direzione più convenzionale – lo stesso Zhang Yimou o Chen Kaige, anche lui in quel gruppo, che aveva esordito nell’84 con Terra gialla.

Zhang Junzhao è mancato una settimana fa (aveva 65 anni), la sua filmografia non conta molti titoli, stretta sempre tra la necessità di un cinema politico e la censura. Nell’89 realizza The Shining Arc, ritratto di una giovane donna chiusa in un ospedale psichiatrico, e prima Come on China! (’85) mentre in anni più recenti lavora per la televisione.