Come previsto Volodomyr Zelensky ha vinto facile nelle elezioni anticipate del parlamento ucraino. Con il 70% delle schede scrutinate il suo partito, Servire il popolo, si attesta nel proporzionale al 42,6%.

È l’onda lunga delle presidenziali del marzo-aprile scorso quando il comico di Krivoy Rog conquistò al primo turno il 32,4% dei voti e al ballottaggio superò il 75%. Nel frattempo sul carro vincente hanno fatto in tempo a salire molte signorie locali, in precedenza al servizio di Petr Poroshenko: dovrebbero garantirgli con tutta probabilità la maggioranza assoluta quando saranno scrutinati i voti dei 225 collegi in cui si votava con l’uninominale.

Zelensky è stato parco di dichiarazioni in attesa di conoscere i risultati definitivi. I giornalisti gli hanno chiesto chi sarà il capo del suo gabinetto. Non ha fatto nomi ma ne ha tracciato un identikit: «Voglio un premier che sia un’autorità in campo economico, che non sia parte del mio staff e non sia legato al mondo occidentale» ha dichiarato «Ze», come viene chiamato dai suoi sostenitori.

Un po’ la quadratura del cerchio: Kiev ha bisogno urgente di incassare quei 1,3 miliardi dollari di prestiti fatti baluginare dal Fmi e assolutamente indispensabili per non far collassare il paese in autunno. Le altre caselle della lista governativa importanti da riempire sono il ministero degli esteri, che dovrà guadare l’Ucraina oltre la guerra del Donbass e ricostruire un clima di fiducia con l’Occidente, e quello degli interni.

Arsen Avakov, il capo di questo dicastero nella legislatura appena conclusa aveva strizzato l’occhio alle bande neofasciste che infestano le strade del Tridente e non era riuscito a frenare la corruzione imperante: fare meglio non dovrebbe essere difficile.

Il «partito della guerra», ovvero le liste Solidarietà europea dell’ex presidente Poroshenko e Patria di Yulia Timoshenko, ha subito una disfatta. L’ex presidente vince nei collegi esteri ma è magra consolazione. Con il 8,4% dei voti condurrà un’opposizione di testimonianza in attesa che le procure – è accusato di alto tradimento e corruzione – decidano il suo futuro personale. Stesso discorso per la l’appassita «pasionaria» Timoshenko: non va oltre l’8%.

Entra in parlamento con il 6,1% Golos, lista pro-Ue ma dai forti accenti anti-casta. Golos, si vocifera, potrebbe essere l’unico partito a fare da junior partner nel governo targato Zelensky. Niente da fare , invece, per i neofascisti di Svoboda che ottengono un misero 2,4% e restano fuori dalla Rada.

Consolida la sua posizione invece la filo-russa Piattaforma delle opposizioni di Yuri Boyko che raggranella il 13,1%. Con il suo programma no-Nato, no-Ue e riavvicinamento alla Russia la Piattaforma fa il pieno di voti nelle zone orientali, dove vive la popolazione russofona, e a ridosso di Donetsk e di Lugansk supera il 40% dei suffragi, facendo suoi anche i collegi uninominali.

Sono le province in cui si continua a sparare. Il cessate il fuoco proclamato con enfasi a partire dal 21 aprile dal gruppo di contatto tripartito (Ucraina, «repubbliche ribelli», Osce) non è mai entrato in vigore e gli osservatori hanno dovuto registrare già domenica altri scontri a fuoco e morti.

Ieri in serata la tv russa Otr ha intervistato il presidente della Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin, che si è detto «pessimista per quanto venuto fuori dalle urne a Kiev». Secondo Pushilin non esiste da parte di Zelensky «la volontà di avanzare nell’adempimento degli accordi di Minsk».