Il 13 novembre la Rada ucraina ha votato uno storico disegno di legge che rende libera la vendita dei terreni agricoli del paese anche alle imprese straniere. La moratoria alla vendita di appezzamenti era in vigore dal 2002. La misura è stata votata da Servire il popolo, il partito del presidente Volodomyr Zelensky, che dispone della maggioranza assoluta in parlamento.

IL PROGETTO DI ESTENDERE la privatizzazione agli stranieri era già presente nel programma elettorale dell’ex-comico ma l’approvazione della legge ha provocato proteste. In piazza si sono ritrovate le associazioni degli agricoltori che protestano per quello che considerano «un tentativo di colonizzazione del paese», dimostrazioni purtroppo strumentalizzate dai gruppi dell’estrema destra, anch’essi presenti massicciamente alle manifestazioni.

In aula tutti i partiti d’opposizione si sono schierati contro la legge. In primo luogo il Blocco delle opposizioni, il partito filo-russo erede del partito di Yanukovich che ha bloccato per alcuni minuti lo scranno della presidenza del parlamento.

Sugli scudi anche Yulia Timoshenko e il suo partito Patria («diventeremo un paese del terzo mondo» ha tuonato l’ex leader della «rivoluzione arancione») e perfino l’ex presidente Petr Poroshenko, anche se entrambi si erano dichiarati favorevoli nel passato a sbloccare l’accesso per gli stranieri alle proprietà fondiarie. I motivi per considerare la fine della moratoria – come ha titolato un giornale di Kiev – «la più grande truffa del XXI secolo» sono molti e assai seri.

LA RIFORMA ERA DA TEMPO auspicata da Fmi e dalla Banca mondiale oltre che dalla Consiglio d’Europa come conditio sine qua non per continuare a finanziare il piano di prestiti al paese deciso nel 2015, senza il quale l’Ucraina scivolerebbe nel default. Il presidente ucraino intende rendere operativa la misura a partire dal 1 ottobre 2020.

Ma non solo: «Quest’anno effettueremo sicuramente la riforma agraria, che l’anno prossimo ci consentirà di creare un mercato fondiario di 40 milioni di ettari, uno dei migliori al mondo qualitativamente», ha sostenuto Zelensky in un incontro con degli imprenditori turchi ad agosto. «Ze» come lo chiamano i suoi sostenitori, fa riferimento alla qualità delle celeberrime «terre nere» della Rus’, tra le più fertili al mondo: un boccone prelibato per i grandi gruppi mondiali del settore agro-alimentare che attendevano da tempo questa liberalizzazione. Si tratta di gruppi finanziari come i fondi pensioni europei e i giganti americani, russi e cinesi della coltivazione intensiva, pronti ad accaparrarsi i migliori appezzamenti a prezzi che si preannunciano da discount.

SECONDO ALCUNE PROIEZIONI la fine della moratoria porterà nelle casse dello Stato circa 1,5 miliardi di dollari l’anno e una crescita del Pil del 2%. Tuttavia, ammesso che le previsioni siano corrette, gran parte di queste entrate finiranno per essere usate per ripianare il debito accumulato con il Fmi e la Ue, una revolving door in cui i soldi per acquistare le terre nere rientrerebbero nei paesi occidentali senza che gli ucraini non possano neppure sentirne il fruscio.

Ma il problema non è solo quello «colonialistico» ma anche quello dell’aperta rinascita del latifondismo. La massima concentrazione prevista sarà di 200mila ettari. Dal punto di vista formale, visto che il patrimonio coltivabile del paese supera i 32 milioni di ettari, è poco più dello 0,5%, ma gigantesco se si compara ad altri paesi: nella vicina Polonia per esempio il limite è fissato a 500 ettari.

I NAZIONALISTI PIÙ ACCESI hanno anche espresso il timore che tra gli acquirenti possa esserci la russa Ukranian agrarian investment già presente in Ucraina nel settore cerealicolo. «Così i russi non dovranno farci neppure la guerra, ci compreranno e basta» ha ironizzato un deputato.

Secondo un sondaggio di opinione condotto dal Centro Razumkov il 67% degli ucraini ritiene che la questione della revoca della moratoria debba essere sottoposta a referendum. E se si terrà un referendum di questo tipo, il 63% degli intervistati sarebbe pronto a votare per mantenere la moratoria. Zelensky per calmare le acque ha promesso che sul dare la parola al popolo ci penserà su, ma considera l’opposizione dei deputati demagogica e populista e «irrazionale» quella popolare.

ESPERTI DEL GOVERNO si sono presentati in Tv per spiegare che non ci sarà alcuna «concentrazione» dato che il 68% della terra apparterebbe agli ucraini. Inoltre l’impossibilità attuale di vendere a stranieri schiaccerebbe il prezzo della terra ucraina a 37 dollari l’ettaro contro i 455 potenziali quando molti ucraini continuano a possedere passivamente dei poderi senza coltivarli.

Ma i processi di privatizzazione delle terre nei paesi dell’ex Urss raccontano una storia diversa: le terre vennero comunque fatte passare ai privati a prezzi artificialmente bassi lasciando sul lastrico molti contadini dei kolkoz, schiacciati dall’introduzione della moderna tecnologia del settore che riduce di molto i prezzi di produzione. Non è un caso che in Russia, negli ultimi anni, è rinata la figura del «contadino povero» di leniniana memoria, bracciante stagionale a 70 dollari al mese. E questo i piccoli agricoltori ucraini lo sanno. Zelensky se ne dovrebbe ricordare, perché sono stati proprio loro a portarlo alla presidenza la scorsa primavera.