Alla scomparsa dell’uomo ci si rende conto che la leggenda ha guadagnato da tempo vita propria, sui palcoscenici americani come su quelli europei. Nel prossimo autunno il Metropolitan di New York porta in cartellone due allestimenti simbolo dell’arte di Zeffirelli nella regia d’opera: La Bohème, forse il titolo che più a lungo ha visto concordi il pubblico e la critica, in altre occasioni assai discordanti: una storia cominciata nel 1963 a Milano e rinnovatasi in decenni di riprese con nomi mitici, Schippers, Karajan, Freni, Pavarotti, Ghiaurov. Turandot, stilema dell’opulenza del Zeffirelli maturo, gli eccessi che lambivano con sapiente sfrontatezza il kitsch, trattenuti da un indefettibile istinto per equilibri di palcoscenico.

LA STORIA D’AMORE fra Zeffirelli e l’opera è forse la più sincera e appagante della sua carriera: iniziata nel rinnovamento dei primi anni ’50, incrociando figure fondamentali come Visconti, di cui fu assistente, per trovare ben presto un vocabolario autonomo, che al gusto per la perfezione formale univa tratti di estro scenografico e grandiosità impossibili da imitare. Ben distante da quell’idea di tradizione di cui è stato indicato come baluardo in contrapposizione alle evoluzioni della regia contemporanea. Gli inizi sono anche quelli dell’incontro con Maria Callas, dagli anni d’oro scaligeri, con Il turco in Italia del 1955, alla Traviata di Dallas, fino alle ultime recite londinesi di Tosca e Norma nel 1965. Collaborazioni con i più grandi, da Bernstein a Kleiber, da Giulini a Abbado a Muti; e ancora l’Alcina di Venezia nel 1960, Falstaff a Roma nel 1963, Manon Lescaut a Londra nel1959, Otello con Kleiber a Milano nel 1976, l’Aida alla Scala con Price e Bergonzi nel 1963, ripresa infinite volte, con una seconda versione più fastosa che bella, ma reinventata anche «in piccolo» a Busseto. E ancora Verona, da Carmen al recente Don Giovanni.

OLTREOCEANO fa storia a sé il legame speciale con il Metropolitan, anche se come regista e responsabile del libretto conobbe il sapore del fiasco proprio con l’inaugurazione della sala al Lincoln Center nel 1966, con Antony and Cleopatra di Samuel Barber. Non si deve dimenticare il contributo al film-opera, che a suo modo ha segnato un’epoca, con La Bohéme, Pagliacci e Cavalleria Rusticana, cui seguirono La traviata e Otello.