Cento anni sono un anniversario importante anche se sta passando in sordina. Se il mondo pare disinteressato alla Rivoluzione d’ottobre, anche nella madre patria sembra sconveniente. Ma malgrado gli esiti e il vacuo chiacchiericcio ideologico di oggi è basilare capire il senso di quell’utopia che animò un popolo, fosse solo per credere ora in una nuova dimensione di futuro.

Con il linguaggio che più gli si confà (aggiungendo una punta di teatralità) Massimo Zamboni racconta la rivoluzione russa nel suo nuovo spettacolo I Soviet + L’Elettricità.Un’opera teatrale/musicale travagliata – avviata con un crowdfunding (https://musicraiser.com/it/projects/8487/pending?authkey=2snmC1T6) – che Zamboni non vede come sciocca nostalgia ma ennesimo punto di arrivo, una soglia che necessariamente deve essere valicata dopo i CCCP e i CSI: «È un lavoro che ha una lunga gestazione ed è una presa di responsabilità rispetto tutti gli acronimi che abbiamo usato e alle nostre canzoni. Ci sono delle tappe importanti della nostra storia artistica come Berlino, la Mongolia, Mostar o aver suonato in Unione Sovietica, così questo centenario è un altro momento cruciale. Siamo sempre in costruzione, il viaggio non ha mai fine. Ci sono motivazioni di fondo che sono difficili da esprimere ma sono quelle che poi danno ragione alla vita e al momento di tirare le somme non ci si può tirare indietro».

16VISmassimo-zamboni-nessuna-voce-dentro-1

Un’indagine umana nelle contraddizioni ma specialmente fra le motivazioni di chi ha sentito di aderire alla Rivoluzione e la delusione: «Non è facile parlarne perché tocchi gli interessi e la vita di tantissime persone, con il rischio di un’operazione meramente estetica. L’estetismo rivoluzionario è molto facile. Voglio invece mettere sul piatto le passioni e le aspettative da una parte, controbilanciandole con la delusione, la rabbia e il senso profondo di fallimento che la Rivoluzione ha causato, senza nascondere nessun aspetto. Una celebrazione scarna e punkettona».

La scrittura per ora è di Massimo che si è caricato sulle spalle l’intero progetto: «Il repertorio musicale non mi spaventa in quanto abbiamo sempre dedicato canzoni a quell’immaginario e credo siano un tesoro prezioso. I brani saranno legati tra di loro da una serie di micro contenitori di pensieri». Majakovskij scrisse che Lenin era l’essere più umano che abbia mai camminato sulla terra, nel manifesto dello spettacolo c’è una candela di cera col viso di Lenin: «Sto utilizzando un discorso di Lenin sul potere comunista e il sovietismo, in russo. Una voce fondamentale in una parte dello spettacolo particolarmente dolente, dopo la marcia funebre d’apertura, un raccoglimento necessario giacché non è stata una festa». Con lui ci sono i musicisti con cui ha suonato in questi anni, come Angela Baraldi, Max Collini, Simone Filippi, Benvenuti, Roversi e Montanari, o Fatur nelle vesti del guastatore. Uno spettacolo complesso, con costumi di scena, scenografie e filmati che esordirà il 7 novembre a Napoli al Teatro Augusteo: «Gli elementi del palco saranno, come nell’iconografia sovietica, le tribune e un podio in alto. Niente persone che sgambettano sul palco ma piccoli dirigenti di partito con la loro funzione. Cioè la fascinazione verso chi teneva in mano le redini del mondo ma che allo stesso tempo restituiva un terribile senso di oppressione». Collini, già alto di suo, su questo podio diventerà un despota inavvicinabile.

«C’è molta confusione in giro, si scambiano Lenin con Stalin, Stalin con Hitler. Abbiamo delegato l’utopia all’individualismo dove al massimo vinci il tuo paradiso realizzando un piccolo comunismo individuale, ma non funziona. Non ci sono santi da difendere però ormai non si parla più di utopia, di emancipazione o della fine dell’oppressione degli uomini su altri uomini. Da emiliano sono una persona concreta e non posso dimenticare queste parole portate da quella rivoluzione. Ci sarà una parte dedicata all’Emilia che è la più accorata, perché a casa nostra è stato forte il senso di tradimento alla vita proprio delle persone che la sera, dopo il lavoro, dedicavano il tempo a diffondere la loro idea di mondo. Si deve comunque affermare la possibilità di andare verso l’uguaglianza. Dobbiamo affrancarci dalle dittature che ci siamo imposti, la rivoluzione russa ha provato a farlo quando c’erano milioni di persone che morivano di fame. I risultati sono stati catastrofici, però ci hanno provato».