Il Veneto anticipa tutto. Dichiara di essere già in piena «Fase2», la giunta presenta un dettagliato piano per le riaperture che non aspetta le valutazioni di rischio per i lavoratori che sta facendo l’Inail – come vorrebbe il ministro Boccia – e a sentire Zaia potrebbe anticipare addirittura le elezioni. Anche a metà luglio. Lo consentirebbe il decreto che il Consiglio dei ministri esaminerà lunedì, la bozza in circolazione ieri lascia una finestra molto ampia alle giunte regionali alle quali spetta la decisione finale. La scadenza dei consigli si calcola infatti dalla data delle elezioni regionali, che nel 2015 si sono tenute il 31 maggio, il decreto in arrivo la sposterà in avanti – vista l’emergenza coronavius – di tre mesi, quindi fino al 31 agosto. E dirà che le elezioni per il rinnovo dei consigli devono tenersi «nel periodo intercorrente tra le otto domeniche precedenti la nuova scadenza del mandato e i sessanta giorni successivi al termine della durata del mandato». A conti fatti dal 12 luglio al 25 ottobre, un «periodo utile» (di competenza statale) molto ampio per «offrire il più ampio arco temporale secondo le valutazioni che ciascuna regione può operare nell’ambito della sua autonomia».

Le sue valutazioni Zaia le ha già fatte. «Bene le elezioni regionali a luglio – ha detto ieri – perché se è vero che in autunno ci potrà essere un ritorno del coronavirus non si andrebbe più al voto. E per allora dovremo avere tutti i governatori nel pieno dei loro poteri».
La finestra che il governo ha pensato per le regioni non è solo molto ampia, ma anche diversa da quella prevista per le amministrative. Lo stesso decreto, infatti, sposterà le elezioni comunali di cinque mesi, non più dal 15 aprile al 15 giugno ma dal 15 settembre al 15 dicembre 2020. Infine il decreto rimanda di cinque mesi anche i termini per le elezioni suppletive di deputati e senatori eletti nei collegi uninominali (da 90 a 240 giorni); attualmente c’è solo un seggio vacante, al senato.

Intanto ieri il ministro dell’economia Gualtieri ha confermato ai sindaci e all’unione delle province che ci saranno 3,5 miliardi nel decreto aprile per risarcire i comuni – in parte – delle perdite nella riscossione di tariffe e tributi. E si dovrebbe riunire oggi la «cabina di regia» tra governo, regioni ed enti locali per tentare di accordarsi su una riapertura scaglionata nelle diverse «macroaree» del paese, individuate secondo la diffusione del contagio. Le fughe in avanti dei presidenti di regione mettono in discussione questo risultato. Agli annunci, poi parzialmente smentiti, di Fontana in Lombardia, e non smentiti di Zaia dal Veneto, ha risposto il presidente della Campania De Luca. Pronto addirittura a «chiudere i confini della regione» vietando l’ingresso ai cittadini di altre regioni che dovessero, «in maniera non responsabile e non coerente con la situazione epidemiologica», riaprire. In Campania dal 22 marzo è già in vigore l’obbligo di quarantena per chi entra in regione. Lo prevede una delle 33 ordinanze firmate da De Luca contro il virus, sebbene parzialmente modificata da una delle 19 correzioni arrivate subito dopo.