Yuk Hui è uno dei più interessanti filosofi della tecnologia contemporanei. Si è formato tra Hong Kong e l’Europa e si propone di gettare ponti tra la filosofia occidentale e quella cinese, per rifondare la comprensione della tecnologia e rivendicare la necessità di una tecnodiversità.
Recentemente è stato pubblicato in italiano uno dei suoi testi più significativi: Cosmotecnica. La questione della tecnologia in Cina (Nero, pp. 288, euro 20, traduzione di Sara Baranzoni), uscito in inglese nel 2016, a cui sono seguiti altri due libri (Recursivity and contigency, 2019 e Art and cosmotechnics, 2021) non ancora tradotti in italiano.

IL CONFRONTO tra Cina e occidente non si pone come una traduzione dei concetti di una tradizione nell’altra perché sarebbe impossibile. Ci sono differenze profonde sul modo di interpretare e interrogare la relazione tra natura e cultura, o meglio tra cosmo e tecnica. In occidente, infatti, la figura cruciale portatrice della tecnica per il controllo e la trasformazione dell’ambiente è Prometeo, che sottrae il fuoco agli dei per darlo agli uomini. La tecnica è quindi percepita come una rottura della struttura etica del cosmo, che poi si vendica eternamente con il colpevole.
Nella tradizione cinese la capacità di trasformazione degli esseri umani nel cosmo è regolata dai medesimi vincoli naturali. Il binomio concettuale Qi e Dao – in cui il primo termine incarna l’agire e la produzione, mentre il secondo si configura come il principio cosmologico e morale insieme – non è in contrapposizione, perché le due nozioni sono strettamente connesse.
Non si dà produzione al di fuori del contesto cosmologico e morale. L’agire serve a spiegare il cosmo e il principio morale getta luce sul senso dell’azione. A partire dalle categorie cinesi, quindi, non ha senso intendere la tecnologia come la fine della filosofia, come suggerisce Heidegger, riferendosi alla cibernetica.
Seguendo la linea filosofico-antropologica che muove da André Leroi-Gourhan, Gilbert Simondon e Bernard Stiegler, l’autore è convinto che la struttura ontologico-antropologica dell’umano sia intessuta di tecnica. La possibilità di costruire un arnese e con esso entrare in relazione con l’ambiente è il nostro principio di individuazione collettiva.

NON SI PUÒ NEGARE, però, che l’evoluzione tecnologica attuale, almeno dalla rivoluzione industriale in poi, metta a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta in cui viviamo, a causa della predazione delle risorse non rinnovabili e del riscaldamento globale. Si tratta di trovare il modo per convivere con l’era dell’antropocene, una fase nella quale l’umanità è intervenuta in modo così profondo sull’ambiente da rischiarne la distruzione.
Per Yuk Hui è necessario quindi andare oltre la modernità dell’occidente che ha prodotto sia lo sviluppo tecnologico, sia la predazione della terra che mette a rischio il futuro. Ci sono molti modi di superare la modernità. Alcuni prevedono un ritorno al passato tradizionale. È il caso per esempio di Alekandr Dugin, pensatore russo, allievo di Heidegger, e ispiratore di tante politiche conservatrici, che si inscrive nella corrente di quegli studiosi conservatori novecenteschi che predicavano un ritorno a casa della filosofia, per contrastare la globalizzazione tecnologica, come Ernst Jünger, Oswald Spengler, Carl Schmitt e altri. Questo progetto è solo una rivoluzione conservatrice, un movimento reazionario per contrastare la tecnologia.
Nella tradizione cinese si possono trovare autori come Mou Zongsan (1909-1995) che propone una visione idealistica nella quale noumeno e fenomeno possano riconciliarsi. Sebbene tale prospettiva sia più stimolante per l’autore resta comunque troppo astratta, legata all’intuizione e non interessata agli oggetti tecnici come entità concrete capaci di trasformare il mondo. Questi sono invece il centro dell’attenzione dell’autore che propone una nuova cosmotecnica.

MOLTE SONO LE FONTI di ispirazione nel pantheon della complessa ascendenza di Yuk Hui, tra le quali i pensatori antisostanzialisti europei che ritengono non conti la sostanza e la sua ontologia, ma piuttosto le relazioni. Il pensiero relazionale si contrappone all’antica tradizione sostanzialista. I pensatori che lavorano in questa direzione sono ancora una volta Simondon e Alfred Whitehead, riecheggiando filosofie non occidentali (Descola, Viveiros de Castro e Ingold).
Tutto questo spinge verso una riedizione del concetto cinese di Dao nel quale si intrattiene una unificazione armonica tra umanità (che include la tecnologia) e Cielo. La cosmotecnica punta ad armonizzare cosmo e tecnica senza passare per una rivoluzione conservatrice, pur riuscendo nell’intento di superare la modernità.
Tale obiettivo è perseguito attraverso vari strumenti: una interrogazione sul perché in Cina non si sia vissuto il progresso tecnologico dell’occidente, ma questo sia stato importato e implementato a dispetto della sua tradizione culturale e una richiesta, seguendo il pensiero di Dipesh Chakrabarty, di abbandonare lo storicismo occidentale, reclamando una provincializzazione dell’Europa. La rinuncia alla visione storicista occidentale serve per evitare che avvenga una unificazione della storia e del suo l’asse temporale, rendendolo globalmente omogeneo.
Tuttavia, Yuk Hui non sposa le teorie post-coloniali o i subaltern studies come orizzonte di superamento della modernità. Di questi movimenti critica la concentrazione esclusiva sulla dimensione narrativa. Non basta secondo lui cambiare la narrazione, o cambiarla in Europa, perché le questioni politiche e materiali non possono trasformarsi solo attraverso il discorso.
La modernità è identificata dall’autore in termini di incoscienza tecnologica distruttrice e questa continuerà a darsi come necessità legata alla competizione militare ed economica, in altre parti del mondo che non siano l’occidente, forse ormai più consapevole e magari più nichilista.
Nemmeno la dimensione locale può davvero contrapporsi alla globalizzazione perché non esiste un locale privo di contatto con il resto del pianeta, se non altro per via del commercio. La località è invece il prodotto universale del globale. Per essere davvero alternativo, il locale deve riappropriarsi del globale alle proprie condizioni mettendo al centro la dimensione relazionale, seguendo le proprie esigenze concrete, altrimenti si ricade nella dimensione nazionalistica, populista e conservatrice.

LA RICERCA DI YUK HUI ripensa la tecnologia in termini di cosmotecnica, cioè alla luce del carattere morale di una preservazione cosmica. Non si può tornare indietro a un’origine ormai perduta e inaccessibile, ma possiamo domandarci quali tecnologie siano realmente necessarie per sopravvivere come collettività vivente. Il concetto chiave è il pluralismo tecnologico che consenta di sviluppare con modalità diverse strumenti in armonia con l’universo, senza soccombere all’ideologia californiana.
Non è chiaro per il momento come sia possibile realizzare questo obiettivo, visto il quadro fosco della modernità e della globalizzazione che ci viene proposto. Forse la chiave dell’esperienza estetica intesa, seguendo Kant, come «intenzionalità senza scopo» potrebbe guidare la ricerca cosmotecnica. Ma in questo testo si apre solo lo scenario, si sistema la scena per un lavoro filosofico ancora da intraprendere.