Carlito Rovira è uno dei membri originari del Young Lords Party di New York, un’organizzazione marxista rivoluzionaria attiva negli anni ‘70, ispirata al modello delle Black Panthers e composta principalmente da portoricani e da latinos di varie nazionalità. Oggi fa parte della campagna per la liberazione di Mumia Abu-Jamal, si occupa di tematiche legate all’America Latina, in particolare a Cuba e conduce La Voz Latina, un programma radiofonico. Dai microfoni di WBAI NYC alimenta il dibattito politico sugli Stati Uniti e, in questi giorni ancora di più, continua a denunciare la brutalità della polizia. L’ho incontrato tempo fa nel cuore di Harlem, in un modesto ristorante per la working class. Mi ha raccontato la storia, semisconosciuta in Europa, di una gang di strada che si fece partito e che strutturò la sua azione politica a partire dalle esigenze concrete delle comunità dei ghetti a stelle e strisce, organizzando anche azioni mediaticamente spettacolari.

Quando sei arrivato a New York?
Sono nato negli Stati Uniti e cresciuto nel Lower East Side a New York, ma sono portoricano. La questione nazionale è molto complicata qui negli Stati Uniti. I portoricani si stabilirono qui sin dall’inizio del 1800; le rivoluzioni a Cuba e Portorico furono organizzate proprio qui. C’era un gruppo chiamato la Società per l’indipendenza di Cuba e Portorico che teneva incontri segreti qui a New York nel 1860. In effetti le bandiere cubane e portoricane sono nate in questa città (ride).

Quando sei entrato a far parte degli Young Lords?
Quando avevo 14 anni, sono stato incoraggiato dai miei genitori che erano membri del partito nazionalista. Vennero qui a causa delle difficoltà economiche. Gli Stati Uniti hanno sradicato i portoricani dalla loro terra, li hanno costretti a lasciarla, come è accaduto ai palestinesi. Avevano l’abitudine di organizzare feste nel seminterrato del nostro palazzo per raccogliere fondi per acquistare armi per l’indipendenza portoricana. Avevano contatti anche con l’IRA. Durante l’era McCarthy il partito nazionalista portoricano fu bandito, di conseguenza tutti operavano clandestinamente.

Per te è stata una scelta naturale?
Sì. Quando i tuoi genitori sono dei rivoluzionari puoi provare repulsione, o diventare come loro. Non stai nel mezzo. Molti nazionalisti portoricani andarono in prigione, soprattutto dopo l’attacco armato al Congresso degli Stati Uniti nel 1954. La repressione a New York fu incredibile. Venivano spesso nel mio appartamento in cerca di armi.

La comunità come reagì alla repressione?
La repressione porta, comprensibilmente, paura nella comunità. Quella paura si disintegrò quando arrivarono gli Young Lords perché parlavamo il linguaggio dei ghetti americani, non quello del Portorico. Eravamo figli e figlie di immigrati, eravamo in grado di comunicare meglio. I rivoluzionari devono essere connessi con gli impulsi della gente ed essere politici migliori dei politici borghesi. E il motivo per cui ottenemmo delle conquiste è perché avevamo il supporto della comunità e quindi avevamo una forza politica. Come i partigiani italiani, che avevano il sostegno del popolo.

Agli inizi gli Young Lords erano una gang di Chicago, perché decisero di trasformarsi in un’entità politica?
Una delle ragioni è stata l’influenza del Black Panther Party che stava organizzando tutte le gang. L’altro motivo è che gli Stati Uniti erano consumati politicamente dagli eventi: la guerra in Vietnam, la lotta per il potere nero…quando intorno a te accadono tutte queste cose ne rimani influenzato e non puoi rimanere attaccato alla tua stupida idea di fare il gangster.

L’organizzazione coinvolgeva solo portoricani?
Eravamo davvero multietnici. Il 40% dei nostri membri non era portoricano, come Denise Oliver-Vélez, uno dei nostri leader. C’erano afro-americani, messicani, domenicani, cubani. Non abbiamo reclutato americani bianchi perché storicamente, negli Stati Uniti, rappresentano uno stato oppressore. Non solo per la schiavitù ma anche a causa dei privilegi, ancora oggi i bianchi hanno molto da dimostrare; beneficiano del razzismo.

Qual erano i punti principali del vostro programma?
Avevamo un programma di 13 punti. Se vuoi te li elenco: vogliamo l’autodeterminazione per i portoricani, la liberazione sull’isola e all’interno degli Stati Uniti; vogliamo l’autodeterminazione per tutti i latinos; vogliamo la liberazione per tutte le persone del terzo mondo; siamo nazionalisti rivoluzionari e ci opponiamo al razzismo; vogliamo il controllo comunitario delle nostre istituzioni e della nostra terra; vogliamo la vera educazione della nostra cultura creola; siamo contrari ai capitalisti e alle alleanze con i traditori; siamo contrari all’esercito «amerikkkano»; vogliamo la libertà per tutti i prigionieri politici; vogliamo l’uguaglianza per le donne. Il machismo deve essere rivoluzionario…non opprimente; combattiamo l’anticomunismo con l’unità internazionale; crediamo che l’autodifesa armata e la lotta armata siano gli unici mezzi per la liberazione; vogliamo una società socialista. Questa è la nuova versione perché il punto 10 è stato frutto di una lotta delle donne all’interno degli Young Lords. C’era una forte resistenza e ci fu una minoranza che si oppose all’avanzamento politico delle donne. In seguito a questo scontro, Felipe Luciano, accusato di maschilismo, non fu più il nostro leader. Seguivamo l’esempio di Cuba in cui le donne erano alla guida della rivoluzione. Come le Black Panthers organizzavamo momenti di studio collettivo ed individuale, proiettavamo film, facevamo dibattiti…e insieme alle Pantere organizzammo programmi gratuiti per la colazione dei bambini. Avevamo anche una rivista bisettimanale, Palante, in inglese e spagnolo. Nel 1971 lanciammo la Ofensiva Rompecadenas e molti dei nostri si trasferirono a Portorico per unirsi alla resistenza e contribuire all’indipendenza dell’isola ma fu un fallimento.

Carlito Rovira
All’inizio qual era il tuo ruolo?
Il mio primo incarico fu presso il Ministero della salute. Gli YL avevano 5 diversi ministeri: salute, istruzione, informazione, finanza, difesa. Il nostro obiettivo era affrontare i problemi sanitari all’interno della comunità. Nel 1970 occupammo un ospedale nel Bronx, il Lincoln Hospital, come protesta per le sue pessime condizioni (il pronto soccorso era invaso dai topi ndr). Avevamo il pieno supporto della comunità perché non lo chiudemmo ma lo gestimmo noi stessi. Dottori, infermieri e pazienti continuavano a venire ma avevamo delle mazze da baseball e tutto il resto all’ingresso nel caso in cui la polizia avesse provato ad entrare. Successivamente svolsi un lavoro di intelligence. Avevamo una struttura militare e mi occupavo della sicurezza, ero nel Ministero della difesa. La nostra unità svolse indagini interne sui nostri membri e fece operazioni di controspionaggio. Era un incarico segreto, ma divenne noto quando gli YL si sciolsero.

Una delle vostre azioni più d’impatto fu la garbage offensive (offensiva della spazzatura).
Il dipartimento dei servizi igienico-sanitari non ripuliva i quartieri dove vivevano le comunità di colore, come Harlem. Perché pulire le comunità bianche ogni giorno, mentre le nostre aree, che erano le più densamente popolate, venivano pulite una volta alla settimana? Spazzammo le strade, raccogliemmo la spazzatura e poi la gettammo sulle strade principali. Poi la bruciammo e bloccammo il traffico verso i quartieri benestanti. Dopo questa offensiva iniziarono a pulire perché mostrammo al mondo quello che stavano facendo. Questa fu la prima azione degli YL a New York e fu molto efficace. I media ci demonizzarono ma il loro tentativo fallì perché la nostra gente iniziò a sostenerci.

In quali aree eravate attivi?
Ovunque. Avevamo sezioni nel Bronx, a East Harlem, nel Lower East Side, a Brooklyn, a Hoboken, Newark e Jersey City nel New Jersey, a Filadelfia, a Bridgeport nel Connecticut, a Boston, Detroit e Chicago.

Avete mai organizzato attacchi armati?
No e nemmeno le Pantere Nere organizzarono mai degli attacchi, questa è una bugia dei media. Si difesero. L’unica volta che usarono le armi fu quando furono attaccati e in molti casi le armi che utilizzavano erano legali. È una leggenda che uccidessero le persone, non è vero. Sapevamo che per avere successo nella lotta armata bisogna avere un sostegno popolare.

Voi lo avevate?
Non per fare una rivoluzione (ride). Il motivo per cui la rivoluzione ebbe successo a Cuba fu perché avevano il sostegno del popolo. Usavamo le armi per autodifesa e per la nostra propaganda. Nel 1971 occupammo una chiesa con le armi in seguito all’omicidio di Julio Roldan, un nostro membro, da parte di guardie carcerarie. Avevamo le armi cariche ma non avevamo intenzione di attaccare la polizia, sapevamo che saremmo stati uccisi. Volevamo fare una dichiarazione per risvegliare le persone e rompere un tabù: la polizia non era invincibile. Avevamo ottenuto una buona reputazione tra la nostra gente perché avevano visto il coraggio. Volevamo mostrare alla classe operaia le sue grandi potenzialità rivoluzionarie quando si unisce. Il nemico capì cosa stavamo facendo e sarebbe stato un suicidio politico attaccarci. Chi sarebbe stato il cattivo? Non noi, ma la polizia e sarebbe scoppiata una rivolta in tutta New York. Uno dei nostri scopi era lottare contro la brutalità della polizia e per una riforma carceraria.

Qual era il vostro rapporto con il clero?
Molto buono. Quando occupammo la chiesa a Spanish Harlem, circa 200 persone del clero, di diverse confessioni, si misero fuori dalla chiesa per impedire alla polizia di attaccarci. Sapevamo che il clero è reazionario ma in molte rivoluzioni in America Latina ci sono stati sacerdoti e suore che hanno combattuto. Come Romero ad El Salvador. Quando il Papa andò a Cuba pensava che il Vaticano avrebbe ottenuto gli stessi risultati che raggiunse in Polonia, ma oggi l’arcidiocesi di Cuba sostiene la rivoluzione. I marxisti non hanno il monopolio di essere rivoluzionari e questa è una buona cosa. Puoi credere in Gesù e in Dio ed essere un rivoluzionario perché ciò che conta davvero è qual è la tua posizione verso lo stato borghese. Questo è fondamentale.

Nel 1969 venne fondata la Rainbow Coalition, un movimento multiculturale che comprendeva gli Young Lords, le Black Panthers, l’American Indian Movement e gli Young Patriots (proletariato bianco dagli Appalachi). La Rainbow Coalition è stata fondata a Chicago e avrebbe dovuto diventare, secondo la visione delle Pantere Nere, un partito multiculturale e multietnico. Due settimane dopo, Fred Hampton, l’architetto marxista della Rainbow Coalition, fu assassinato. Hoover divenne irrequieto e dichiarò il Black Panther Party l’organizzazione più pericolosa degli Stati Uniti. Alla fine del 1971 le cose iniziarono a deteriorarsi per una serie di ragioni. L’FBI accelerò le sue operazioni contro il Black Panther Party e la Rainbow Coalition e questo acuì le debolezze interne. Gli Young Patriots si rifiutarono di sostenere la posizione delle Pantere secondo la quale i bianchi avevano l’obbligo di combattere il razzismo tra di loro. Ci fu una rottura. Questo è un aspetto che i progressisti bianchi hanno paura di affrontare, è un dato storico. Il Partito socialista negli Stati Uniti, alla fine del 1800, si rifiutava di far partecipare i neri alle sue riunioni. Gli Stati Uniti sono il cuore della supremazia bianca.

Com’era il rapporto con il Partito Comunista degli USA (CPUSA)?
Negli anni ’20 del ‘900 la più avanzata, la più militante, la più sofisticata cellula del Partito Comunista USA era proprio qui ad Harlem. Il giornalista Cyril Briggs era il capo dell’African Blood Brotherhood, con 3mila membri. Erano armati e si scontravano con il Ku Klux Klan. Nel 1922 portò la maggior parte di loro nel Partito Comunista. Negli anni ’60 e ’70 noi non avevamo un buon rapporto con il CPUSA perché decisero di non sostenere la rivoluzione cinese.

Quali furono i principali errori politici commessi dagli YL?
L’errore storico, il più grave, fu credere che nell’Unione Sovietica si stesse restaurando il capitalismo. C’era corruzione nella leadership ma la struttura della società e dell’economia era ancora socialista. Iniziarono a chiamare l’URSS: imperialismo sociale sovietico. Non c’erano prove di ciò ma stavamo seguendo la logica cinese e questo ci mise in grossi guai perché commettemmo diversi errori nelle nostre analisi sugli USA. Un errore può produrre 10 errori, è come un cancro. Iniziammo a sostenere Stalin o Trotsky, fu stupido perché quelli erano problemi interni al socialismo, tra fratelli che combattono. La gente non capiva quella lotta. C’è questa piccola cosa chiamata ideologia che rende tutto fottutamente difficile. Non comprendemmo qual è il ruolo delle masse nel fare la rivoluzione, qual è il rapporto tra le masse e la leadership. Quando la contro-rivoluzione arrivò con violenza in Unione Sovietica, travolse la classe lavoratrice. Ciò che accadde nel 1990 non sarebbe potuto accadere nel 1950 o nel 1970 perché la coscienza della classe operaia russa era più forte. In poche settimane distrussero tutto ciò per cui i lavoratori avevano combattuto. L’errore di valutazione della sinistra creò una condizione esterna favorevole al restauro del capitalismo.

Quando terminò l’esperienza degli YL?
Nel 1976, in modo molto violento. Eravamo stati pesantemente infiltrati dall’FBI e dalla polizia che avevano già messo fine al Partito della Pantere Nere ed estromesso gran parte del movimento contro la guerra. Era arrivato il nostro turno.

C’è stato un momento in cui credevate che la vittoria fosse vicina?
Certo che sì, perché stavamo andando in quella direzione. Ci sono stati tre periodi nella storia americana in cui la rivoluzione è stata altamente possibile: nel 1890 con le lotte sindacali per la giornata lavorativa di 8 ore; negli anni ’30, durante la Grande Depressione, quando il movimento operai era molto forte; negli anni ’60, quando i vecchi tabù razziali, sessuali e di genere furono infranti e la cultura iniziò a cambiare. Per realizzare una rivoluzione però c’è bisogno di una leadership che approfitti del momento, se questo non accade intervengono i fascisti come è avvenuto in Germania e in Italia.

Cosa rimane oggi della tradizione degli Young Lords?
Molte cose, come la legislazione progressista e per i diritti civili che è ancora in vigore ma che persone come Donald Trump cercano di smantellare. Il patrocinio dei pazienti negli ospedali, gli studi latini, lo spagnolo come seconda lingua, abbiamo combattuto per questo.

Cosa pensi di Sanders?
È un politico borghese liberal. La sua versione del socialismo non è la mia né quella del Black Panther Party. Vuole un capitalismo equo ma non puoi avere una pacifica convivenza tra oppressore e oppresso, tra sfruttatore e sfruttato. È impossibile, è come dire che vuoi una schiavitù equa. Non puoi avere il socialismo se non hai la rivoluzione. È un demagogo migliore degli altri perché prende in prestito parte della fraseologia del socialismo. Sanders rappresenta una nuova e migliorata forma di politica borghese ma per le persone della classe operaia non è fondamentale avere un nuovo presidente, abbiamo bisogno di un nuovo sistema.

Cosa pensi del movimento Black Lives Matter?
Deve essere supportato perché è ovvio per tutti che la polizia ha preso di mira i neri. Dall’11 settembre 2001, oltre 7mila persone disarmate sono state bersaglio della polizia negli Stati Uniti ed il numero di afroamericani è sproporzionato. Durante la storia americana le vite dei neri non hanno mai contato, Carlito.