Ad Aden i miliziani filo-emiratini, addestrati e armati in questi anni da Abu Dhabi, pattugliano le strade esibendo sui pickup il volto di Aidarus al-Zubaidi, leader del movimento separatista meridionale (Stc).

A 29 anni dalla riunificazione dello Yemen, quel movimento non è mai scomparso. Riemerso nel 2015, fondamentale alla ripresa di Aden occupata dai ribelli sciiti Houthi, ha sfruttato a proprio favore le ambizioni degli Emirati sullo Yemen, portate avanti in questi anni di conflitto in parallelo con quelle delle coalizione a guida saudita. Abu Dhabi ha lentamente assunto il controllo di pezzi importanti di paese, dall’isola di Socotra al porto di Aden, che si affaccia sullo strategico stretto di Bab al-Mandab.

UN CONTROLLO FATTO di prigioni segrete, centri militari, addestramento di 90mila miliziani locali e silenti accordi di non belligeranza con al Qaeda.

Fino al mese scorso quando Abu Dhabi ha annunciato un poco dettagliato piano di graduale ritiro. La contraddizione in seno alla coalizione è esplosa sabato 10 agosto quando i separatisti meridionali – dopo giorni di scontri, 40 morti e 260 feriti – hanno preso il controllo di Aden, del palazzo presidenziale e delle basi militari, strappandoli ai pro-governativi, i soldati e i paramilitari del presidente Hadi, uomo di paglia di Riyadh. Che ha risposto bombardando gli alleati del suo alleato, i separatisti vicini agli Emirati. A scatenare la rottura, nell’aria da tempo, è stato l’attacco via drone della scorsa settimana (rivendicato dagli Houthi) contro una parata nella città portuale: 36 morti tra i separatisti che hanno accusato le forze fedeli al partito islamista al-Islah pro-Hadi di complicità nell’attacco Houthi.

NE SONO SEGUITI giorni di scontri violenti, culminati sabato nella presa di Aden. La faida interna ha infine trovato ieri un doppio sfogo: da una parte l’incontro alla Mecca tra il principe ereditario emiratino Mohammed bin Zayed e il suo omologo saudita, Mohammed bin Salman; dall’altra la mossa del movimento separatista che si è proposto ai sauditi come interlocutore diretto per riportare la calma nelle regioni meridionali. Bin Zayed, da parte sua, ha chiesto a tutte le parti in conflitto di «impegnarsi positivamente» nel dialogo Stc-Hadi, con Riyadh a fare da mediatrice. Sono tutti in fibrillazione: i separatisti, che intendono approfittare del mezzo ritiro emiratino per far avanzare la propria agenda; gli Emirati che con quel ritiro passano la palla ai loro proxy, con il cristallino proposito di imporre la propria posizione all’interno della coalizione; gli Houthi, che osservano compiaciuti le faide interne al fronte nemico.

UNA FAIDA CHE SEMBRA al momento destinata a rientrare: ieri la coalizione ha annunciato il cessate il fuoco interno e il ritiro dei separatisti dalle posizioni prese con la forza. Ma è difficile che la pacificazione duri a lungo: troppi gli interessi in conflitto nel più povero dei paesi del Golfo.