Una tragedia. Ecco cos’è la storia di Yara Gambirasio. E non solo la sua. Qui sta il mistero. Non quello dell’assassino che sarebbe stato inchiodato dal dna. Ma il nostro. Parliamo di loro per parlare di noi. Nella cultura pop la catarsi collettiva per compiersi ha bisogno di un terribile caso di cronaca nera. Va in scena a reti unificate. E poco importa se non c’è niente di giusto.

In questa storia c’è tutto. L’efferato omicidio di una ragazzina di 13 anni e la morbosità delle tracce organiche sui suoi slip. Il primo mostro sbattuto in prima pagina fu uno straniero poi scagionato. E ora è un muratore, padre di famiglia che non sa neanche chi è suo padre. Temi ancestrali, irrazionali, conditi da elementi supermoderni ma altrettanto misterici: il test del dna di massa. Ancora una volta folle di telecamere si assiepano come un plotone di esecuzione davanti ad anonime villette di provincia. Quella del “mostro”, ma anche di sua moglie e dei suoi bambini. Quella di sua madre accusata per di più di aver partorito di nascosto un figlio «illegittimo». E anche quella della vittima, dove vivono i genitori di Yara. Sciamano taccuini assetati di dichiarazioni che non avrebbero diritto di cronaca per nessun motivo al mondo. Domande inutili e insensate: «Secondo lei è davvero stato lui?».

A dare il via allo spettacolo però questa volta è stato niente meno che il ministro degli interni Angelino Alfano. È stato lui a battere tutti sul tempo, voleva dare per primo la notizia. Quasi come se volesse prendersene il merito o fare concorrenza a Bruno Vespa. «L’opinione pubblica aveva il diritto di sapere», ha rivendicato. Dopo l’annuncio del Viminale il circo mediatico non ha più avuto limiti né rispetto per nessuno. Neppure per Yara: la sua immagine ancora una volta è stata servita ai telespettatori per cena insieme ai dettagli sul suo corpo martoriato. Accanto al suo viso innocente è stato gettato in pasto agli schermi il viso del presunto colpevole. Senza pensare minimamente che anche lui ha dei diritti. Tutte le tv incantate per ore: hanno rilanciato a ripetizione le insignificanti immagini delle auto dei carabinieri che lo portavano in carcere in una sorta di trance collettiva con tanto di folla urlante. Non sono stati risparmiati neppure i volti dei suoi figli minorenni, le foto rubate dalla pagina facebook del padre.

Anche gli inquirenti non sono stati ascoltati. Il procuratore capo di Bergamo, Francesco Dettori, non ha per niente gradito la velina lanciata in anteprima dal ministro Alfano. Avrebbe preferito mantenere il massimo riserbo «anche a tutela dell’indagato in relazione al quale, secondo la Costituzione, esiste la presunzione di innocenza», ha detto. Alfano gli ha risposto male: «Non ho dato dettagli, piuttosto la procura dovrebbe chiedersi chi ha inondato i media di una quantità infinita di informazioni». In cambio il ministro è stato bacchettato su facebook da Beppe Grillo: «Alfano l’ha fatta grossa».

Ecco dove è finita la politica. Per un giorno sembrava sparita. Ieri i giornali online, tra una partita e l’altra, erano ridotti a un lungo elenco di omicidi efferati. Segno che è iniziata l’estate, o che la fase politica italiana è ormai stabilmente noiosa. E allora non resta che tornare a cavalcare la cronaca nera. Un’altra tragedia.