Quentin Dupiex è infaticabile. Dopo la sua prima carriera da dj in cui, con lo pseudonimo di Mr. Oizo, continua a pubblicare album di musica elettronica, si è dedicato anima e corpo al cinema, attività in cui si dimostra estremamente prolifico: negli ultimi due anni ha realizzato ben quattro film, sempre presentati in vetrine prestigiose (l’ultimo, in ordine temporale, è Daaaaaali! visto a Venezia). Questa rapidità di realizzazione accentua il carattere «di occasione» dei lavori di Dupiex, spesso legati a una trovata che il regista sviluppa portandola alle estreme (e grottesche) conseguenze, con uno scopo spesso critico dei cliché e delle incrostazioni culturali – pensiamo ad esempio a Incroyable mais vrai, del 2022, e alla parossistica demolizione dell’atteggiamento della nostra epoca nei confronti dell’invecchiamento.

Arriva oggi nelle sale italiane Yannick – La rivincita dello spettatore, presentato lo scorso anno a Locarno, di cui Dupieux oltre alla regia ha curato sceneggiatura, fotografia e montaggio. Realizzato in sei giorni in un’unica location, lo storico Théâtre Déjazet di Parigi, il film si fonda su un gesto che in molti sognano di fare, anche perché severamente proibito: intervenire durante uno spettacolo teatrale, alzarsi in piedi e manifestare il proprio scarso apprezzamento della recita in corso.

IL RIBELLE si chiama Yannick, e nel suo discorso condivide con palco e platea il suo disagio: è un portiere notturno, venire allo spettacolo significa per lui chiedere un giorno di permesso e fare un’ora di viaggio dalla periferia in cui abita. Una volta seduto vorrebbe sentirsi meglio, e non peggio di prima. Una pretesa troppo alta?
Di certo le persone presenti non sembrano molto interessate alle disgrazie di Yannick – interpretato da Raphaël Quenard – ma tutto cambia quando fa la sua comparsa una pistola. Da qui inizia uno psicodramma fatto di equilibri variabili nella triangolazione tra attori, spettatori e Yannick. La pretesa di quest’ultimo è di scrivere uno spettacolo migliore di quello in scena, con gli attori costretti a recitarlo. Il gioco di Dupiex è, da un lato, quello di mostrare il classismo e l’inconsistenza di chi appartiene al mondo dell’arte, ma anche la ridicolezza di chi, da fuori, pensa di poter fare meglio senza alcun impegno. In fondo, è tutta una fiera delle vanità, e lo stesso Yannick – che, certamente, incarna l’insofferenza di certa classe subalterna rispetto alla cosiddetta élite della cultura – non vuole altro che diventare autore egli stesso. Tra spettacolo e realtà, l’egotismo è la vera malattia, che frantuma ogni lettura politica.