Uno sguardo lungo sei anni sulla coltivazione degli ulivi in Salento e il diffondersi della piaga della Xylella, con la consapevolezza che non si tornerà più come prima. Corpi rugosi, vuoti e contorti emergono totalmente e irrealmente grigi da uno sfondo di un verde altrettanto irreale. Un bagliore si fa strada dall’interno, quello di una rossa brace che si espande e diventa fiamma, e poi fumo. Sono ulivi. Si accendono come fuochi fatui e bruciano. Per ore, per giorni, sgretolandosi lentamente, facendo ondeggiare brandelli di tronco, di rami, stagliando sull’orizzonte piatto uno scheletro sempre più sottile e storto, finché tutto si accascia accompagnato da un lungo e sinistro tonfo finale, lasciando al suolo un mucchietto di resti anneriti. È quello che è successo in Salento per tutta l’estate del 2020, quando in questi campi ormai abbandonati disseminati di ulivi completamente secchi si sono contati più di 60 incendi al giorno. Se ci si vuole fare un’idea di quale sia la situazione a cinque anni dall’esplosione del fenomeno del disseccamento degli ulivi e dell’epidemia del batterio Xylella fastidiosa, tali immagini sono un buon punto di partenza.

LE HA REALIZZATE JÁNOS CHIALÀ, giornalista e fotografo pugliese, e fanno parte di un progetto a cui lavora dal 2015, quando, appena tornato nella sua regione, l’emergenza Xylella lo ha portato a interrogarsi sul futuro dell’olivicoltura e della cultura dell’olio in tutta la Puglia. Domande e tentativi di risposte stanno confluendo in un film documentario autoprodotto (per chi volesse sostenerlo è attivo un crowfunding che propone uno scambio simbolico con olio biologico: https://www.produzionidalbasso.com/project/film-documentario-sulla-xylella-in-puglia/ ) che osserva il rapporto tra i pugliesi e gli ulivi da varie prospettive: scientifiche, storiche, antropologiche, economiche. La famiglia di János ha sempre raccolto le olive e fatto l’olio, ed è anche a partire da questo vissuto che nasce l’intuizione che qualcosa di quella tradizione si è perso per sempre e non solo per la Xylella.

«SE CHIEDI A UN QUALSIASI OLIVOCULTORE pugliese quali sono i problemi che affliggono l’olivicoltura in Puglia te ne elenca tutta una serie, di cui la diffusione di Xyella è solo l’ultimo», dice Janos . Questa affermazione suona paradossale se si pensa a come in questi anni il dibattito, se mai ce n’è stato veramente uno degno di questo nome, si sia fossilizzato e polarizzato solamente sul batterio, fra chi gli imputava tutte le responsabilità del disseccamento e chi arrivava addirittura a negarne l’esistenza. János ha aderito e seguito fin dall’inizio le proteste dei contadini pugliesi, i blocchi stradali, gli incontri divulgativi, e proprio dall’interno di quel fronte si è reso conto che qualcosa non andava anche nelle argomentazioni di chi si opponeva all’abbattimento degli ulivi, nonostante le giuste e sacrosante analisi e considerazioni sul fatto che esistessero altri fattori di disseccamento con cui fare i conti, come gli effetti dell’abuso di sostanze chimiche e di tecniche agronomiche dannose, l’impoverimento del suolo e il conseguente indebolimento degli alberi, e la proliferazione senza precedenti di parassiti, funghi e altri patogeni delle piante, e di conseguenza sui limiti di una risposta basata solamente sull’estirpazione massiccia, la sostituzione con varietà più resistenti e l’utilizzo altrettanto massiccio di pesticidi.

FRA GLI OBIETTIVI DEL DOCUMENTARIO quello di far svolgere quel dialogo reso impossibile anche da diffidenze e arroccamenti reciproci, impedendo che l’emergenza venisse affrontata nella sua complessità, dove il problema reale della Xylella si interseca con problemi altrettanto reali come il deprezzamento dell’olio d’oliva, la diffusione della monocoltura e dell’agricoltura moderna e intensiva, dinamiche che hanno cambiato terreno e territorio, in una maniera probabilmente irreversibile proprio come l’epidemia del batterio.

NEL FRASTUONO DI UNA BATTAGLIA condotta fra accuse di antiscientismo, santoneria e ignoranza da una parte, dall’altra complottismi e negazionismi che hanno portato anche a inchieste giudiziarie contro gli scienziati accusati di aver volutamente introdotto un batterio di cui si negava l’esistenza, gli ulivi se ne andavano. E il silenzio mediatico ora calato su una morìa che continua inesorabile e si spinge sempre più a nord, non fa che rendere ancora più evidente che il batterio esiste eccome, ma anche che eradicazioni, innesti, pesticidi, cure sono serviti a poco.

SECONDO JANOS, BISOGNA PRENDERE atto che il problema è fuori controllo e che certe forme di olivicoltura sono finite. In Salento l’epidemia di Xylella, i costi degli abbattimenti, la distribuzione delle risorse hanno dato il colpo di grazia ai piccoli produttori e spalancato ancora di più le porte alle organizzazioni di produttori, i grandi frantoi. Quello che è bruciato non tornerà mai più come prima, verrà acquisito in un sistema sempre più monopolizzato e intensivo o tornerà a foresta, come già sta succedendo.

LE IMMAGINI DRAMMATICHE degli ulivi che bruciano sono la sintesi dell’atteggiamento che secondo János bisogna avere: non distogliere lo sguardo, pensando che il problema non esista o che possa essere risolto con soluzioni semplici, ma immergersi nella sua complessità senza farsi prendere dal panico. Accettare che qualcosa è cambiato ed accompagnare questo cambiamento, re-immaginare il paesaggio anche a partire da quello che sta succedendo spontaneamente, la riforestazione, il ritorno di specie selvatiche come il lupo. Sono necessarie decisioni politiche che consentano una cura collettiva del territorio, che in questo momento chiede di tornare ad essere verde, biodiverso, naturale. Molte persone lo stanno già facendo, reimpiantando alberi di diverso tipo, puntando su un turismo alternativo, ma vanno sostenute.

CI SONO DELLE INTERESSANTI ANALOGIE fra l’epidemia di Xylella e la pandemia di Covid-19. Il batterio si è fatto strada facilmente fra distese di ulivi fragili cresciuti su un terreno impoverito, come il virus ha colpito di più dove la qualità dell’aria è peggiore e le persone soffrono di altre patologie. E come non è risolutivo sterilizzare chimicamente il terreno ed impiantare varietà resistenti per fermare questo batterio e altri che verranno, non lo è sterilizzare le nostre vite con distanziamento sociale e mascherine e contare solo sui vaccini per combattere questo ed altri virus. Il cambiamento richiesto in Salento è quello che richiede anche il pianeta e l’esistenza di ognuno.