I rami secchi e grigi degli alberi d’ulivo si stagliano come scheletri sulla terra rossa del Salento richiamando l’attenzione su un territorio che ha assunto nel tempo le sembianze di un paesaggio post-apocalittico dove gli alberi con un aspetto mostruoso mettendo in luce l’incapacità dell’essere umano di porre rimedio alle sue azioni. «Cinema e Realtà», sezione del Festival del cinema Europeo di Lecce,  dedicata ai linguaggi del documentario, ha accolto le storie dalla comunità salentina che nel giro di pochissimi anni ha visto morire i suoi ulivi così come la sua produzione di olio, una tra le più grandi d’Europa.

Il regista e attore Gabriele Greco raccoglie e restituisce, in AmalaTerra, la disperazione dei piccoli contadini e la lotta dei grandi produttori contro la Xylella fastidiosa, batterio che è riuscito a introdursi e distruggere un patrimonio inestimabile. Un giovane uomo tornato nella casa dei nonni assiste alla devastazione del territorio e della sua comunità che per secoli ha vissuto in stretta simbiosi con gli alberi d’ulivo. I nonni del giovane, interpretato dal regista stesso, incarnano il silenzioso dolore degli alberi che lentamente soccombono al batterio cui non è stato ancora trovato un rimedio. Il regista alterna a una narrazione lirica, costruita attraverso un viaggio nella memoria del territorio salentino e sostenuta dalla colonna sonora composta insieme al cantante Mario Biondi, interviste a imprenditori e contadini del luogo che con dolore denunciano la mancanza di controllo nell’importazione di specie non autoctone e l’abbandono da parte delle istituzioni di fronte al diffondersi della malattia. Il film non assume un tono polemico ma cerca di farsi testimone di un cambiamento cosi come invito per le nuove generazioni ad amare la propria terra e ritrovare le antiche tecniche di coltivazione come l’innesto: nell’albero malato s’impianta il ramo di una varietà d’ulivo resistente al batterio. Negli ultimi anni un segnale importante arriva dall’associazione di giovani imprenditori e contadini che hanno deciso di rifondare i modelli di coltivazione recuperando i terreni abbandonati al degrado ambientale e all’agricoltura industriale così come le attiche tecniche di coltivazione, in modo da costruire una comunità solidale che si muove nel rispetto delle piante, del lavoro, dell’alimentazione e soprattutto dell’ambiente.

Il film Come semi al vento di Tommaso Faggiano denuncia, seguendo il viaggio ideale che un seme compie per arrivare nelle case sotto forma di cibo, le difficoltà che il sud Italia ha dovuto affrontare per decenni e che hanno portato alla sfruttamento del territorio, all’inquinamento delle falde acquifere attraverso l’utilizzo nelle coltivazioni agricole di prodotti chimici come il glifosato e lo sfruttamento del lavoro, pratica che ha visto nascere il fenomeno del caporalato. Tratto dal libro Coltivatori di cambiamento di Francesca Casalucci e dall’impegno sul territorio dell’associazione Salento Km0, il film è anche la testimonianza dell’urgenza e della possibilità di ritornare a una coltivazione più consapevole che sa recuperare e tutelare la biodiversità delle piante attraverso la ricerca e conservazione di semi antichi.

Anche Stefano Petroni, regista di Heartwood, affronta il tema della Xyllella e la devastazione del territorio Pugliese cercando una possibile cura degli ulivi attraverso un viaggio straordinario fuori dai confini Salentini. Il regista entra così in contatto con antiche comunità che ogni giorno difendono la loro cultura e il loro piccolo mondo dai cambiamenti climatici e dalla deforestazione causata dall’avanzamento della distruzione agricola perpetrata in nome dalla globalizzazione.

Il giovane viaggiatore, insieme ai suoi compagni di viaggio Victor Vilela e Agostino Petroni, incontra antiche comunità dove il rapporto con la natura è imprescindibile: come in Brasile per i Kalunga che utilizzano la tecnica di accendere piccoli fuochi per rinvigorire le piante della foresta, la piccola comunità Maya in Messico che con delicatezza cerca di salvare le api in pericolo o i Wayuu in Colombia dove la siccità ha quasi distrutto la comunità ridotta alla fame. Da questo percorso straordinario il gruppo di giovani viaggiatori assimila dalle piccole comunità il rispetto per la natura e soprattutto il senso di responsabilità verso la propria terra cercando di far ritorno a ciò che è veramente essenziale, un rapporto equilibrato e necessario tra essere umano e natura.