Xi Jinping costituisce uno storico punto di discontinuità nella recente storia cinese. La Cina del «decennio d’oro», il periodo che va dal 2002 al 2012, era un paese contraddistinto da una crescita a doppia cifra, in grado di organizzare Olimpiadi a Pechino nel 2008 e l’Expo a Shanghai nel 2010 – entrambi eventi da considerarsi ben riusciti. Analogamente era il paese che, a seguito dell’epoca delle Riforme volute da Deng, aveva saputo inserirsi nei meccanismi economici mondiali, guidando la propria economia in modo pianificato e sapendola difendere da pericolose ingerenze esterne, tanto che la crisi finanziaria del 2008 colpì Pechino solo di rimbalzo mettendo in difficoltà il suo modello legato all’esportazione. Quella Cina era un paese guidato dal Partito comunista, non senza polemiche sui temi dei diritti umani, ma di cui veniva riconosciuta la capacità di una dirigenza di tecnocrati in grado di fare andare la locomotiva cinese nella direzione voluta. Si parlava, non a caso, di «dirigenza» in modo generico: l’allora numero uno Hu Jintao non era certo nei radar dei media internazionali; in pochi ricordano il suo contributo teorico dello «sviluppo scientifico» del socialismo cinese data la sua figura grigia, diluita nella «guida collettiva» del partito.

 

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Dal 2012 tutto questo è cambiato: alla segreteria del Partito e alla presidenza della Repubblica popolare è arrivato Xi Jinping. Il suo nome, allora, venne identificato come «segnale di continuità» con il passato.

La realtà ha dimostrato il contrario, fin dall’inizio: quella che doveva essere una successione «pacifica» ha portato alla luce del sole una lotta terribile all’interno del partito. Ne fece le spese Bo Xilai, legato a una camarilla ultra nazionalista; oggi Bo è in carcere, condannato all’ergastolo, mentre Xi Jinping, dopo questo Congresso, sarà probabilmente il leader più forte che la Cina abbia mai avuto.

E se è scontata la sua nomina a guidare il paese per i prossimi cinque anni, esistono serie possibilità che il suo mandato possa arrivare a 15 anni. Ha attirato su di sé più cariche di Mao Zedong e con la campagna anticorruzione si è presentato come il risolutore del male dei mali della Cina guadagnando sostegno e credibilità popolare. Ha posto sotto di sé militari, sicurezza nazionale ed economia. È stato nominato «cuore» del partito comunista e il «pensiero di Xi Jinping», così come il «pensiero di Mao Zedong» e la «teoria di Deng Xiaoping» finirà nella carta costituzionale del partito comunista, divenendo una linea guida associata al suo nome finché il Partito esisterà. Di fatto Xi Jinping non è solo l’uomo più potente della Cina ora, ma è l’uomo più potente dalla nascita della Repubblica popolare.

Questo accentramento dei poteri ha avuto come direttrici tanto la politica interna, quanto – e soprattutto – quella estera. Il «nuovo sogno cinese», ovvero la volontà di riportare il paese al posto che gli compete, al centro del mondo, «la rinascita della nazione cinese», un mix di tentativi immaginifici molto simili al soft power (calcio, cinema ad esempio) insieme allo smart power (progetti di acquisizione economica tout court) costituisce il fulcro attraverso il quale Xi Jinping ha rimesso la Cina al centro di trame mondiali. Xi Jinping ha disegnato per il futuro una «globalizzazione alla cinese», costituita dalla Nuova via della seta; si tratta di una globalizzazione paternalistica, sicuramente egemonica e per quanto nazionalistica, molto distante dalla muscolarità americana. Internamente Xi Jinping ha spinto su innovazione, robotica, intelligenza artificiale, big data e su una maggiore compenetrazione tra pubblico e privato, arrivando a desiderare una partecipazione statale anche nelle aziende fiore all’occhiello del rinnovato «made in China», non più solo fake, ma campioni del mondo dell’e-commerce (Alibaba) o delle app (Wechat).

Chi può fermarlo? Secondo il Wall Street Journal in una Cina di questo genere il pericolo potrebbe arrivare dai miliardari. Ma Xi ha già dimostrato di sapere come gestirli: arrestandoli. Che Cina sarà dunque: un paese sempre più improntato ad allargare il più possibile la classe media e a fare pesare il proprio ruolo internazionale. Ma nelle mani di una sola persona, come non accadeva da tempo.