Dopo i primi commenti – decisamente cauti – di Pechino, ieri è arrivata la telefonata tra il Presidente cinese Xi Jinping e quello americano Obama. Nel corso della conversazione il leader cinese avrebbe chiesto a Obama – e nel corso di un’altra telefonata avrebbe ribadito il concetto anche alla cancelliera Merkel – di cercare in ogni modo «una soluzione politica» in Ucraina.

Il messaggio del numero uno pechinese ha diversi livelli di interpretazione. In primo luogo è una chiara discesa di Pechino nell’arena diplomatica. La Cina, presa dall’assemblea nazionale prima e dall’attentato terroristico di Kunming poi, ha lasciato passare un po’ di giorni prima di entrare a pieno titolo nella vicenda ucraina. Quando Xi Jinping parla di «sogno cinese» allude anche a questo: a una posizione di Pechino tra quelle che «contano», anche nelle questioni internazionali. Siamo però di fronte ad un enigma per la Cina: la Russia è considerato un paese amico (Xi ha fatto il suo primo viaggio a Mosca, per chiudere il conto del gas). Ma allo stesso tempo la Cina – e secondo molti osservatori è un limite della leadership – legge tutto quanto accade nel mondo con una lente «interna».

La secessione della Crimea – legale o meno che sia a livello di diritto internazionale agli occhi di Pechino non fa grande differenza – costituisce un precedente pericoloso da «supportare» per Pechino. Chiaro che il Pcc pensi immediatamente a Taiwan, su cui rivendica diritti, o alle pericolose situazioni interne del Tibet ad esempio.

Appoggiare dunque la Russia in questa mossa non sembra saggio (e per altro già in sede Nato all’epoca delle guerre dei Balcani la Cina attraverso astensioni o voti contrari si dissociò da Mosca). Xi ha quindi predicato «dialogo» e calma. È probabile che Pechino possa intercedere con Putin, chiedendo di appoggiare un’eventuale nuova ampia autonomia della Crimea; soluzione gradita a Zhongnanhai, anche perché non metterebbe in imbarazzo quella che viene considerata una solida alleanza.