Xi Jinping torna a Davos, seppure virtualmente, dove aveva aperto i lavori del forum economico mondiale nel 2017; allora Xi si produsse in una difesa della globalizzazione, ponendo la Cina come potenziale guida responsabile: si era da poco insediato Trump e il presidente cinese aveva colto i primi segnali di isolazionismo americano per lanciare ulteriormente il progetto cinese di Nuova via della seta.

Ieri Xi Jinping ha parlato mezz’ora con toni tutto sommato concilianti, aspettando al varco il neo presidente americano, attraverso una serie di messaggi di cautela e di rispetto, nonché con l’invito a non giudicare i vari Stati sulla base di pregiudizi o di arroganza, specificando che non si tratta di «scontri tra civiltà»: ognuno, ha sostanzialmente detto Xi Jinping, ha la propria agenda, ma non significa poter considerare una potenza migliore o peggiore delle altre.

Si tratta di «diversità»: un messaggio ai falchi, tanto americani quanto cinesi, che nell’ultimo periodo di regno trumpista si erano imbarcati in una fantomatica «guerra di civiltà» che rischiava di tracimare laddove la situazione è più tesa e ravvicinata (vedi mar cinese meridionale).

Più specificamente Xi ha auspicato una «competizione equa», il contrario cioè di «pratiche unilaterali» chiedendo infine un miglioramento della governance globale, in particolare l’Organizzazione mondiale del commercio e del sistema monetario internazionale, oltre alla necessità di attuare l’Accordo di Parigi sul clima e l’Agenda 2030 per lo sviluppo.

«Dobbiamo costruire un’economia mondiale aperta – ha detto Xi – scartare standard, regole e sistemi discriminatori ed escludenti e abbattere le barriere al commercio, agli investimenti e agli scambi tecnologici», chiedendo infine che il G20 sia rafforzato come «forum principale per la governance economica globale» affinché il mondo si impegni «in un più stretto coordinamento delle politiche macroeconomiche».