Il Romaeuropa Festival si chiude, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, con il confronto di due grandi compositori del Novecento. Il 19 novembre, al Teatro Studio Borgna, il Contemporanea Ensemble diretto da Tonino Battista interpreta tre memorabili pagine di Xenakis: Phlegra, del 1975, per 11 musicisti; Palimpsest, del 1979, per 11 musicisti; e Thalleïn, del 1984, per 14 musicisti. Il giorno seguente l’Ictus Ensemble, il Collegium Vocale Gent, con la partecipazione dell’attrice Suzanne Vega, diretti da Tom De Cock e con la scenografia di Germaine Kruip, interpreta Einstein on the Beach di Philipp Glass, non-opera del 1976. Sono due facce, apparentemente opposte, della sperimentazione musicale e teatrale del Novecento. Entrambe sono avanguardia, anche se si pensa, invece, che lo sia solo la musica radicale che volta le spalle al sistema tonale. Ma il fatto è che Xenakis e Glass, come si può leggere dalle date, impostano in maniera diversa la ricerca di una via che oltrepassi l’esperienza classico romantica, che considerano entrambi storicamente conclusa. Xenakis, sulla linea che da Schoenberg conduce a Boulez e a Stockhausen, ma in maniera del tutto autonoma e svincolata dalla cosiddetta scuola di Darmstadt, persegue l’idea di una costruzione della scrittura che obbedisca a precisi calcoli matematici. Poco gli interessa l’impatto con l’ascoltatore. Anche se l’impatto c’è, e potente. Consapevole, da architetto e matematico qual è (il padiglione dell’Esposizione di Bruxelles del 1958, attribuito a Le Corbusier, è in realtà suo), sa che il massimo della determinazione produce l’effetto, alla visione o all’ascolto, di un caos.

E IN QUESTO CAOS, per effetto stocastico, le relazioni tra gli elementi sono probabili, non certe. Come nella teoria dei quanti. Il punto è però, che in musica ciò produce sull’ascoltatore un ambiguo e contraddittorio senso insieme di disorientamento e di meccanismo inesorabile. Fantastico! Anche per la bravura dell’Ensemble diretto da Battista.
Philipp Glass non lavora, apparentemente, sulla scrittura, ma sulla percezione dell’ascoltatore. L’influsso della musica orientale ha qui il suo peso, assai più che l’etichetta di minimalismo. Glass adopera cellule melodiche e ritmiche elementari, frammenti modali, intervalli di terza, o di quarta, ritmi semplici, immediatamente afferrabili, e le combina, le sovrappone, le varia, in un continuum che sembra non avere meta. Di fatti il discorso musicale non si conclude mai, ma s’interrompe. In questo modo ottiene, proprio per il meccanismo ossessivo della ripetizione, che l’ascoltatore percepisca, più che un singolo motivo, un singolo ritmo, il durare, il trasformarsi del motivo e del ritmo, e venga pertanto affondato in una percezione ininterrotta del fluire del tempo. Se nella musica di Xenakis prevale il senso della costruzione di una forma musicale, in Glass è prepotente la dissoluzione di qualunque forma predeterminata per dare posto al semplice percepire il durare del tempo. Sconvolgente! Anche per la sovrana bravura di tutti gli interpreti. Einstein on the Beach non racconta niente, non ci sono personaggi, il teatro è questo niente che dura. Magnifico Charlot al femminile Suzanne Vega, la voce recitante. E semplicemente superbi l’Ensemble Ictus, il Collegium Vocale Gent diretti da Tom De Cock. Successo giustamente trionfale per tutti, con ripetute grida di entusiasmo, alle quali mi sono associato.