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Wrexham, la scalata del football gallese

Wrexham, la scalata del football gallese

Sport Il contingente di compagini del Paese del drago rosso che disputano uno dei quattro campionati professionistici inglesi conta su una squadra in ascesa

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 20 aprile 2024

Nel nord del Galles c’è una squadra che sta provando a scalare le vette del football d’oltre Manica. Si chiama Wrexham e insieme a Cardiff, Swansea e Newport, compone il contingente di compagini del Paese del drago rosso che disputano uno dei quattro campionati professionistici inglesi. Soprattutto Cardiff e Swansea vantano un curriculum di tutto rispetto. Con un totale di 26 apparizioni nella massima serie e una coppa a testa (la FA Cup il team della capitale, la Coppa di Lega i «cigni») hanno creato un duopolio sul calcio gallese, anch’esso nel mirino del Wrexham.

La corsa verso il successo si sta materializzando grazie all’aiuto di due attori statunitensi, Ryan Reynolds e Rob McElhenny, ai loro patrimoni e a tutto quello che la loro notorietà comporta, anche in termini di mera pubblicità. Non proprio due celebrità assolute, il primo famoso per aver interpretato Deadpool in Wolverine e Lanterna Verde negli omonimi film, il secondo per varie comparsate in serie televisive, tra cui Lost, ma tant’è. Una cosa sia chiara, però: in questo caso di coincidenze fortunate, come un lontano parente tifosissimo del Wrexham o altri accadimenti ammantati di romanticismo, non ce ne sono.

A fine 2020 i due statunitensi hanno fiutato l’affare. Un club sì piccolo, ma senza debiti. Il lavoro di risanamento era stato infatti sapientemente condotto da un trust di tifosi, la panacea di tutti i mali (finanziari) soprattutto per compagini di medie e piccole dimensioni.

E così Hollywood è sbarcata in una cittadina industriale di 63mila anime a un’ora di treno da Liverpool. Disney+ ha prodotto l’immancabile serie dal titolo Welcome to Wrexham (due edizioni, una sul 2021-22 e una sulla stagione successiva), contribuendo a creare quello che gli anglosassoni chiamano hype. Ovvero il battage pubblicitario che ha contagiato un discreto numero di appassionati a stelle e strisce, disposti ad attraversare l’oceano per godersi un match al Racecourse Ground, che di conseguenza fa registrare un tutto esaurito dietro l’altro. L’impianto è ormai privo, causa ristrutturazione, delle gradinate che gli appassionati italiani più attempati impararono a conoscere dalla diretta Rai di un match di Coppa delle Coppe 1984-85. Quello che vide fronteggiarsi Wrexham e la Roma ancora del divino Paulo Roberto Falcão, in un singolare incrocio tra il football nostrano e quello gallese.

Sebbene sia tutto un po’ troppo «costruito a tavolino» è indubbio che almeno i tifosi bianco-rossi non possono che essere felici della situazione attuale. Reduci da lunghi anni intossicati da debiti finanziati e da una presenza costante (15 stagioni) nella English National League, la lega semi-dilettantista, quelli del Wrexham sono approdati in terza divisione (dove mancavano da 19 anni) con la seconda, scoppiettante, promozione consecutiva. In questi casi spesso si dice che «il limite è il cielo», ma ci permettiamo di essere un po’ scettici sull’eventualità promessa dal duo holliwodiano che il Wrexham possa raggiungere la Premier entro il 2033. Forse la transumanza di tifosi americani o provenienti da altri paesi, in atto per ogni partita casalinga, cesserà quando Disney+ deciderà di non fare la terza o quarta serie oppure il team non sarà più invitato a giocare amichevoli estive di extra-lusso, come accaduto nel 2023. A Chapel Hill, sede della North Carolina University alma mater di sua maestà Michael Jordan, erano in 50mila per un improbabile Chelsea v Wrexham, finito 5-0 per i Blues. Insomma, l’hype si potrà anche ridimensionare, ma intanto ci dovremo sorbire ancora per un bel po’ tutta la retorica posticcia sulla «meravigliosa favola» della bella addormentata gallese risvegliata dai principi americani.

È vero, meglio due attori di Hollywood che la controversa proprietà saudita del Newcastle, accolta con poche voci di dissenso da una tifoseria calda, numerosa, ma forse troppo abituata alle delusioni e alle sconfitte fragorose per arricciare il naso. La mercificazione estrema del fenomeno football rimane. Se si verifica nelle divisioni minori peggio ancora. Per carità, la storia e la tradizione rimangono, ma soprattutto l’ultimo elemento esce profondamente intaccato da operazioni che lasciano i puristi e, ci piace pensare, non solo loro con l’amaro in bocca. E per favore, non chiamatele favole.

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