Dopo la favolosa New York di Truman Capote (Capote) e il mondo del baseball (il sottovalutato Moneyball) , l’ex documentarista (The Cruise) Bennett Miller punta l’occhio su un’altra grande storia «made in Usa». Strappato (come i suoi film precedenti) alla cronaca, Foxcatcher (presentato lunedì sera in concorso qui al festival) è il racconto dell’improbabile rapporto tra l’erede di una delle piu potenti e antiche famiglie americane e due famosi campioni di wrestling, un rapporto che si interruppe definitivamente quando, nel 1996, John du Pont uccise a pistolettate l’ex campione olimpico di Dave Schultz, che il miliardario aveva assunto, insieme al fratello Mark per allenare la sua squadra di lotta libera, i Foxcatcher.

La caccia alla volpe (evocata dal nome della squadra) sembra un’occupazione decisamente più idonea a un duPont della lotta libera. Ma, osservato a distanza e con un certo disgusto da sua madre (Vanessa Redgrave), che ama solo i cavalli, John duPont (il comico Steve Carell con un’enorme protesi al posto del naso), nella sua sterminata tenuta in Pennsylvania, coltiva con una cura e disciplina un po’ sinistri un gruppetto di lottatori, capitanati dai fratelli Schultz.

Un esperimento da laboratorio, e una messa a confronto di classi sociali, destinati a finire malissimo Channing Tatum è Mark Schulz, che ha l’espressività di un gorilla e non è sicurissimo di sé. Mark Ruffalo è Dave, il maggiore, e quello più socievolmente funzionante. Tre interpretazioni «da Oscar», quasi troppo prepotenti per questo film tutto fatto di dettagli pazienti, di ricostruzioni di milieu – freddo, preciso, come se guardassimo al microcopio. Purtroppo, l’innegabile talento antropologico di Miller qui sembra usato solo fine a se stesso.