Primo titolo Warner Bros uscito in contemporanea nelle sale Usa e su Hbo Max – come previsto per quasi tutto il listino Warner del 2021, mentre in Italia è disponibile per il noleggio su Amazon Prime, Apple tv, TimVision, Chili, Sky primafila e altre piattaforme e canali – Wonder Woman 1984 è la prova che il grande schermo ha, tra tutti i suoi poteri, anche quello di alleviare i difetti di un brutto film. Sarà la sala buia che favorisce la suspension of disbelief, la complicità del resto del pubblico, i pop corn, o il fatto che comunque hai già pagato il biglietto… Ma un film di super eroi programmato a forza di algoritmi e con una trama complicatissima senza ragione di esserlo è sicuramente più tollerabile al cinema che a casa propria.

COME IL PRIMO Wonder Woman, 1984 è diretto da Patty Jenkins e inizia sull’isola di Temyschira, con un decatlon retrofuturibile in cui la principessa Diana, in versione bambina, gareggia contro amazzoni molto più grandi di lei sotto lo sguardo autorevole della mamma regina (Robin Wright) e quello orgoglioso della zia guerriera (Connie Nielsen). Intensissima gimcana di corsa, salto acrobatico, equitazione, lotta, nuoto… Intrapresa da donne bellissime non molto vestite sullo sfondo di un cielo e di un mare magnificamente turchini, il torneo – dove Diana vince barando e quindi viene squalificata: è la prima lezione di vita – rimane la parte più divertente del film e quella più in sintonia con la dimensione un po’ camp e sessualmente ammiccante del fumetto.

Anche divertente, e in sintonia con la qualità terrena, spiritosa, di Wonder Woman (opposta a quella più trascendente di Superman), la scena in cui Diana neutralizza con la sua frusta dorata, prima le telecamere di sorveglianza e poi un gruppo di malfattori che stanno seminando il panico in un centro commerciale dopo aver rapinato una gioielleria. Ma a qual punto siamo nel 1984, la piccola attrice Lilly Aspell si è trasformata in Gal Gadot e Diana in una studiosa di archeologia allo Smithsonian Museum di Washington.

LA SCELTA di ambientare il film in quella decade sembra motivata esclusivamente del desiderio di fare un po’ di ironia sull’esecrabile moda (le spalle imbottite!) e le altrettanto orrende pettinature dell’epoca. Gli eighties erano anche la decade dell’avidità (incarnata da Gordon Gekko di Wall Street) dell’ascesa di Trump nel mercato immobiliare e nelle cronache mondane di New York. E la parrucca biondastra di Pedro Pascal, nei panni dell’untuoso imprenditore Max Lord, a caccia di una pietra che esaudisce i desideri come il genio della lampada di Aladino, sembra un rimando che favorisce il corto circuito con il presente – la rapacità di oggi è ancora peggio di quella di allora. Lord non vuole solo controllare il mercato finanziario, bensì il mondo. Per farlo, seduce una topesca, timidissima archeologa del Museo interpretata da Kristen Wiig che, con l’aiuto della pietra si trasforma nella ferale Cheetah, nemesi di Wonder Woman. Purtroppo, Wonder Woman 1984 non è Ritorno al futuro o Batman Returns. E il corpo a corpo tra le due super-donne non è magnetico/ridicolo come quello tra Teri Hatcher e Charlize Theron in Due giorni senza respiro o spettacolare come i combattimenti di Theron/Furiosa nell’ultimo Mad Max. Da sole, Gadot e Wiig (meglio topo che felino) non tengono in piedi il film – il ritorno di Chris Pine dall’aldilà come una pop tart riscaldata al microonde.

UN FILM d’azione che non ha senso (o una ragione interna di essere, al di là dei diktat economici di una franchise) può anche diventare un capolavoro astratto nelle mani di un mago del genere. Patti Jenkins ha indubbie qualità ma non ha quel dono.