Il New York Times lo ha definito un «musicista irriducibile». Il contrabbassista William Parker ha compiuto lo scorso gennaio settantanni dei quali cinquanta passati a suonare jazz, o meglio free jazz o musica creativa come viene denominata quella corrente che fu originata dalle incisioni di Cecil Taylor e Ornette Coleman sul finire degli anni Cinquanta. Nato e cresciuto nel Bronx, ovverosia uno dei più poveri e pericolosi quartieri di New York, Parker ha mosso i suoi primi passi nell’ambiente dei Loft degli anni Settanta, quando la città pullulava di questi spazi autogestiti dove si sperimentavano musiche che fondevano tutta la storia del jazz con i desideri di una nuova generazione che sognava un mondo diverso. Usciti dal trauma della guerra del Vietnam, (Parker è stato obiettore di coscienza) una schiera di musicisti si era inebriata delle libertà conquistate a caro prezzo e sperimentava sulla propria pelle nuove modalità relazionali e nuovi stili di vita: comunitarismo, anticapitalismo, pacifismo. Una occasione per avvicinare la sua sterminata discografia è il recente cofanetto Migration of Silence Into and Out of the Tone World (Centering Records). Si tratta di dieci cd di musica inedita composta e registrata quasi totalmente negli ultimi due anni. Vi si trova il Parker compositore, poeta e paroliere e in minima parte strumentista (soprattutto alle prese con gli amati strumenti etnici). Il ricco libretto di note e liriche del musicista ci introducono alla sua visione del mondo, alle sue lotte politiche per i migranti, i nativi e naturalmente per la comunità afroamericana. Dieci dischi per dieci progetti diversi che danno grande spazio alla vocalità e ci fanno conoscere musicisti da noi poco o per niente noti. Il ventaglio stilistico è amplissimo e va da atmosfere funk e soul a richiami al jazz classico e alla world music, sempre innervato dalla adesione alla pratica dell’improvvisazione. L’ascolto è meno impegnativo di quanto verrebbe da pensare per quanto si tratti pur sempre di musica che richiede attenzione e disponibilità. Tra i dieci dischi sono da segnalare il vigoroso e danzante Harlem Speaks, con la cantante Fay Victor e il batterista Hamid Drake, Blue Limelight con ensemble d’archi dove giganteggia il violinista Jason Kao Hwang e Lights in the Rain, dedicata a sette grandi registi italiani tra i quali Pier Paolo Pasolini.