La ‘scoperta’ dei tesori della letteratura filosofica in sanscrito avvenuta in Europa all’inizio del XIX secolo ha aperto opposti schieramenti: Schopenhauer e i fratelli Schlegel furono tra coloro che si convinsero del fatto che essa avrebbe condotto a un “nuovo Rinascimento” della cultura filosofica europea, non diversamente da quanto era accaduto al principio dell’età moderna con la ‘riscoperta’ della cultura greca. Non tutte le potenzialità innovative intraviste arrivarono tuttavia a una reale attuazione: di certo, la linguistica scientifica europea nacque e si sviluppò in virtù dell’incontro con la letteratura linguistico-filosofica in sanscrito.

La ricercatezza stilistica e la sottigliezza teoretica senza eguali dei testi della filosofia indiana sono spesso tornite da un’aggressività impetuosa che ne potenzia lo splendore. Parafrasando una celebre immagine della poesia indiana, è come se la rossa pasta di sandalo – un ornamento tra i più preziosi con cui esaltare le belle forme dei testi filosofici – fosse stata ricavata dai fiotti di sangue delle ferite inferte alle dottrine dei propri avversari. Nella riflessione filosofica indiana – che ha raggiunto alcuni dei suoi vertici nella logica, nell’epistemologia e nella filosofia del linguaggio – non c’é verità che non debba venir vagliata attraverso il fuoco della dialettica.

Le puntuali analisi e i dibattiti sulla dottrina del karman, a cui Wilhelm Halbfass ha dedicato il saggio titolato Karma e rinascita nel pensiero indiano (traduzione di Elena Sciarra, prefazione e curatela di Marianna Ferrara, Einaudi, PBE, pp. XX – 270, € 23,00) ricalcano i tratti peculiari della riflessione filosofica indiana intendendo con karman, (letteralmente «azione») una «legge» – o meglio, come puntualizza Halbfass, una «regola» o «un’idea regolativa» – in base alla quale ogni azione, oltre al suo risultato visibile, genera anche un effetto invisibile, che, presto o tardi, giungerà a maturazione (per lo più, ma non necessariamente, in forma di ricompensa o punizione). Con la sola eccezione dei filosofi materialisti, la «regola» del karman venne accettata da tutte le scuole del periodo classico. Eppure, sul modo di intendere le sue strategie di funzionamento e di retribuzione non vi fu alcuna uniformità dottrinale, anche all’interno di una stessa scuola.

Halbfass ricostruisce nel saggio le varie dottrine sul karman e le tappe salienti del dibattito filosofico indiano che riguardano questo concetto, dotato di un certo rilievo nella filosofia della natura, per dare conto, per esempio, di eventi sfuggevoli come il magnetismo, riuscendo in una sintesi di grande fascino e pregnanza teoretica. E alla nebbia scettica che potrebbe accompagnare la domanda sul come mai i grandissimi filosofi indiani siano caduti preda di una tale ‘superstizione’ si potrebbe opporre, per esempio, la considerazione per cui la dottrina del karman consente di fare a meno di Dio e dell’intervento divino nel dar conto dell’andamento del mondo naturale e sociale.