«Volete più o meno marocchini nelle vostre città e nel vostro paese? Meno? Ok, ci penso io!». Sembrava destinato a scomparire dalla scena politica, spazzato via insieme all’intera ondata anti-musulmana, cresciuta nel clima infuocato del dopo 11 settembre, di cui era stato uno dei protagonisti, dalle nuove emergenze dettate dalla crisi economica. E invece no. Geert Wilders è tornato. Solo qualche settimana, la sera del 19 marzo, ha scosso nuovamente l’opinione pubblica olandese, e suscitato reazioni indignate sui media – il caporedattore del tg più seguito del paese lo ha paragonato a Goebbels – e manifestazioni di protesta ad Amsterdam, commentando così, con un esplicito appello al razzismo rivolto ai suoi sostenitori riuniti nel centro dell’Aja, i risultati delle elezioni amministrative.

Il suo Partij voor de Vrijheid (Partito per la libertà) da sempre poco presente nel voto amministrativo, correva solo nella capitale e ad Almere, una città dormitorio alle porte di Amsterdam: all’Aja è arrivato secondo, mentre ad Almere ha vinto. Gli xenofobi non hanno trionfato, ma hanno mantenuto i loro consensi, a fronte della disfatta netta patita da conservatori e laburisti che governano il paese riuniti in una «grande coalizione» dal 2012. La media dei voti raccolti dal Pvv è stata intorno al 20%, anche se molti sondaggi indicano proprio in Wilder il politico più popolare del paese – se si votasse ora per il parlamento nazionale, ma le politiche sono previste solo nel 2017, l’estrema destra eleggerebbe almeno un quinto dei parlamentarti, 30 su 150 e la coalizione di governo non supererebbe i 35. Ma per Wilders, le elezioni che contano, quelle su cui per il momento ha puntato tutto, sono le europee. Per questo, dopo aver promesso di «occuparsi dei marocchini», ha salutato la folla plaudente agitando un cartello su cui era scritto: «Appuntamento al 22 maggio» (nel paese si voterà tre giorni prima che in Italia).

Il ritorno dell’«estremista platinato»

In realtà, fiutando l’aria, l’«estremista ossigenato», come lo aveva definito anni fa un giornale olandese per il suo look platinato, la cui popolarità era cresciuta sull’onda emotiva degli omicidi di Pim Fortuyn e di Theo Van Gogh, tra i primi a evocare il nuovo «razzismo dei diritti civili», ovvero la denuncia che l’immigrazione musulmana, portatrice di «una cultura retrograda», potesse snaturare la tollerante democrazia olandese, si è solo riposizionato, cambiando nemici.

Dopo aver fatto a lungo dell’islamofobia la sua cifra politica, nato nel 2006 il Pvv è un partito personale costruito intorno alle sortite provocatorie del suo leader – Wilders ha paragonato il Corano al Mein Kampf le ha girato un video, Fitna, montando immagini del terrorismo kamikaze e frasi del libro sacro dell’islam – oggi il movimento cerca di mettere radici dentro la crisi, dichiarando guerra all’euro e alla Ue. Forte dell’accordo che ha stretto in vista delle europee con il Front National di Marine Le Pen, i liberalnazionali austriaci e la Lega Nord – a dicembre era tra gli «ospiti d’onore» del congresso del Carroccio a Torino -, Wilders ha recentemente annunciato «l’inizio della liberazione da questo mostro che chiamiamo Bruxelles, da questo «Stato nazista» che è la Ue».

Referendum su Bruxelles

E non si è limitato alle invettive. Il Pvv ha commissionato all’agenzia londinese Capital Economics uno studio sulla sostenibilità di un’eventuale uscita del paese dall’euro. Secondo questo progetto, vero leit-motiv della campagna elettorale di Wilders in vista delle europee, l’Olanda potrebbe tornare al fiorino e negoziare con la Ue un accordo economico, sul modello di quell’associazione di libero commercio che già hanno stipulato con Bruxelles paesi come Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera. Così facendo, spiega la propaganda degli euroscettici, «fin dal prossimo decennio le famiglie olandesi potranno guadagnare 10mila euro in più».Il vero problema è che però anche al di là delle posizioni di Wilders, molti olandesi sembrano ormai piuttosto ostili all’Europa. Da un’inchiesta pubblicata dall’autorevole quotidiano Volkskrant, ben il 67% della popolazione vuole un referendum per decidere se restare o meno nella Ue. Questo, dopo che nel 2005 il «no» alla costituzione europea prevalse con il 61,6% dei voti. Del resto, come in molti altri paesi, la crescita degli euroscettici ha prima di tutto ragioni sociali.

Pur restando la quinta economia della zona euro, l’Olanda ha infatti perso negli ultimi tempi molte delle proprie certezze. Anni di politiche di rigore, sostenute prima dai governi conservatori e poi dalla «grande coalizione» destra/sinistra, hanno indebolito il potere d’acquisto di salari e pensioni e fatto crollare i consumi. E perfino la disoccupazione, comunque inferiore della metà rispetto a molti altri paesi europei, è arrivata a sfiorare l’8%. In questo clima, l’estrema destra ha dapprima criticato la nascita del cosiddetto Fondo salva stati, per poi schierarsi esplicitamente contro la Ue.

«L’Olanda vuole continuare ad essere l’Olanda – spiega Wilders – Perciò perché dovremmo dare a Bruxelles un assegno in bianco di centinaia di milioni di euro?». E, ancora: «Al presidente del Consiglio d’Europa Van Rompuy, l’euro sembra sexy, al mio partito no. Non trovo niente di seducente nel pagare i debiti degli altri, come stanno facendo ora gli olandesi con i greci e non solo con loro».

La xenofobia sdoganata
Dopo aver fatto da megafono allo sdoganamento della xenofobia in una società tradizionalmente aperta – (il rapporto del Consiglio d’Europa indica che in Olanda – e in Austria e Grecia – le discriminazioni crescono di più, mentre il rapporto 2013 del difensore civico nazionale denuncia un clima politico dominato da «toni e atteggiamenti razzisti») -, il Pvv si appresta ora a raccogliere i frutti di questa nuova predicazione nel segno dello sciovinismo economico.

Ciò che appare però davvero sorprendente, come ha sottolineato una ricerca condotta da James Kennedy, docente di Scienze politiche all’Università libera di Amsterdam, è che il partito di Geert Wilders sembra aver conservato presso gli elettori tutta la sua carica «anti-establishment» malgrado la sua progressiva integrazione nel «sistema». Nel 2010, l’appoggio esterno del Pvv fu infatti decisivo per la nascita di un governo di centrodestra. Un sostegno ripagato con il varo di diverse norme auspicate da Wilders: l’obbligo per gli immigrati di superare un esame di «integrazione», un test di lingua e cultura olandese, l’espulsione degli «imam radicali», il bando del burqa e una riduzione dei nuovi ingressi.

Due anni dopo, il leader xenofobo avrebbe staccato la spina all’esecutivo, inaugurando la sua nuova linea euroscettica e dando il via ad un «tour della resistenza» per ascoltare «il malessere della gente», ispirandosi – lo ha scritto il Guardian – ai «Vaffa-Day» di Grillo. Da quel momento, l’estrema destra ha mirato ad un nuovo bersaglio: «la Ue dei soviet». Quasi una formula magica, con cui Wilders risolve tutto: «Gli Stati-nazione devono occuparsi dei loro soldi, delle loro leggi e delle loro frontiere. Noi vogliamo che in futuro ci sia sempre meno Europa nelle nostre vite».