Pressati dall’amministrazione Biden, che chiede meno violenza e passi in avanti nel negoziato con il governo di Kabul, i Talebani attaccano le forze di sicurezza afghane.

All’alba di ieri un’autobomba ha colpito un avamposto delle unità di protezione civile – che rispondono ai servizi segreti della National Directorate of Security (NDS) – nel distretto di Shirzad, nella provincia orientale di Nangarhar, al confine con il Pakistan. Almeno 15 i morti. I servizi segreti hanno replicato indirettamente nel pomeriggio, annunciando l’arresto di «Haji Lala», presentato come il vice-governatore ombra dei Talebani per la provincia di Kabul. Ma gli studenti coranici smentiscono: l’uomo arrestato non è il nostro governatore-ombra.

I Talebani smentiscono anche la nuova amministrazione Biden, che ha ereditato da Trump un accordo bilaterale per il quale tutti i soldati americani – ora 2.500 – vanno ritirati entro la fine di aprile. Il Pentagono nei giorni scorsi ha provato ad alzare i toni, accusando i Talebani di non rispettare i patti, chiedendo loro di ridurre la violenza, rompere davvero con al-Qaeda e negoziare con i rappresentanti del «fronte repubblicano» di Kabul. I Talebani assicurano di rispettare i patti e alzano il tiro: se volete la pace, così il negoziatore Sher Mohammad Abbas Stanekzai da Mosca, deve dimettersi Ashraf Ghani. Il presidente che ha resistito per mesi alle pressioni dell’inviato di Trump, Zalmay Khalilzad (riconfermato da Biden), di dimettersi per dare vita a un governo a interim.

Quel Ghani che continua a presentarsi come il garante delle istituzioni della Repubblica islamica, pur essendo stato eletto tra accuse di frodi e brogli. Il suo vice, l’ex capo della Nds Amrullah Saleh, fiero oppositore dei Talebani scampato a diversi attentati, cerca di sfruttare gli attriti di assestamento tra Washington e i Talebani, usando toni duri: «sono e resteranno sempre terroristi», ha dichiarato in un’intervista. «Vogliono una dittatura clericale, non la pace. Non glielo lasceremo fare. Non venderemo la nostra terra».

Dal fronte governativo, arriva anche la notizia dell’istituzione di una commissione di inchiesta sui fatti dei giorni scorsi nella provincia di Maidan Wardak che hanno provocato la morte di almeno 9 persone e il ferimento di molte altre. Per alcuni osservatori, le forze di sicurezza hanno represso con violenza una manifestazione pacifica degli Hazara, minoranza sciita. Per Kabul, gli scontri sarebbero stati causati dagli uomini armati dell’«uomo-forte» della zona, il comandante Alipoor.

Minoranza già perseguitata in passato e ancora oggi vittima di discriminazioni, la comunità hazara è sempre più sotto pressione. Da una parte i Talebani che negoziano il ritorno al potere. Dall’altra lo Stato islamico, che vede negli sciiti un bersaglio privilegiato. La «provincia del Khorasan», branca locale dello Stato islamico, ha rivendicato l’attentato di ieri mattina a Kabul contro un veicolo che «trasportava sciiti e membri delle forze di sicurezza».