Scrittore di poche opere, tutte di qualità eccelsa, Bernard MacLaverty – di cui i lettori italiani conoscono Cal, Un istante di felicità, Donna al piano e La scuola di autonomia – nel presentare il suo ultimo romanzo, Vacanza d’inverno (Guanda, traduzione di Irene Abigail Piccinini, pp. 304, euro 18.50) ne ha imputato la gestazione di oltre quindici anni a lunghi periodi di pausa, perlopiù – ha detto – dettati dalla pigrizia. In realtà, la rifinitura impeccabile della prosa e l’eco autobiografica nelle vicende più intense e sofferte del romanzo sembrano indicare come gli anni in questione siano trascorsi in modo tutt’altro che passivo e scanzonato per l’ormai settantaseienne autore di Belfast, da quarant’anni residente in Scozia per ragioni legate al conflitto settario in Nord Irlanda.

Il senso di un matrimonio
E se queste considerazioni inducono un atteggiamento più benevolo nei confronti di MacLaverty di quanto egli stesso non vada sollecitando nei suoi interventi critici, il più classico dei cortocircuiti suggerirebbe più di un’analogia fra questa benevolenza e l’empatia che il lettore di Vacanza d’inverno è portato a sviluppare nei confronti del protagonista maschile, Gerry. Anche lui è nordirlandese, di origini cattoliche, pensionato e, con la moglie Stella, vive a Glasgow da parecchi anni.

L’inizio del romanzo vede la coppia in partenza per un lungo fine settimana ad Amsterdam, durante il quale dovranno tenere a bada il dolore di un evento traumatico che riaffiora insistentemente dal passato, e soprattutto proveranno a definire il senso della loro unione e delle rispettive esistenze in ciò che resta loro della vita: «Non abbiamo tutto questo tempo, per cui dovremmo trattarci bene». I due condividono fin da subito la scena: complementari e in reciproca funzione di contrappunto, alleati e al tempo stesso divertiti antagonisti a lato delle inezie quotidiane, hanno stili comunicativi diversi: della coppia, Gerry è il volto smagato e burlone, sarcastico e a tratti cinico. Stella è invece riflessiva, grave nelle autocritiche, dotata di un’ironia altrettanto sottile ma che non taglia mai la strada all’empatia, all’umiltà e alla pietas. È in questa calibrata dialettica di prospettive, fra intimità e distacco, complicità e individualismo, tanto nei dialoghi quanto nelle pagine che penetrano la loro coscienza assecondandone i pensieri, che la traduttrice italiana, Irene Abigail Piccinini, ha vinto la sfida più difficile lanciatale dall’originale. Ma col progredire della vacanza l’antitesi degli stili espressivi arriva a svelare qualcosa di più di un malumore, sebbene profondo.

A emergere è l’amara consapevolezza di una disarmonia penosa, fatta della incompatibilità fra il razionalismo ateo di lui e la fede dogmatica di lei («la mia religione è la pratica della mia religione»), fra il pragmatismo di Gerry e la compassione di Stella, fra l’alcolismo e le smodatezze dell’uomo e l’ascetismo spartano della donna. Si fa così strada il timore che il Midwinter Break del titolo originale (un peccato che il valore letterario dei titoli sia puntualmente sacrificato alle esigenze commerciali) alluda non tanto a una semplice pausa quanto a una vera e propria rottura. Ma proprio quando le evidenze vanno nella direzione di una frattura definitiva, ecco che la tensione è stemperata dal ritratto dei due protagonisti mentre si scambiano gesti affettivi, forse frutto di automatismi, di quei comportamenti e di quelle reazioni istintive cui Stella è decisa a dare un taglio, usando questa gita olandese per trovarne il coraggio.
Sebbene lei sia più esplicita riguardo alla crisi che li coinvolge, l’ossessione di Gerry per il whisky è il segnale altrettanto chiaro di vissuti frustranti. Seguendo i due personaggi nel loro viaggio interiore, chi legge apprenderà i dettagli e le conseguenze dell’episodio tragico che è all’origine, nei primi anni del matrimonio, delle loro rispettive paralisi, cui Stella ha reagito confortandosi con echi della prosa di Virginia Woolf e di Thomas Hardy, traducendoli nell’aspirazione a uno spazio per sé e a una sorta di rinascita nella chiesa cattolica.

Arbitrarietà dei destini
MacLaverty ha introdotto in Vacanza d’inverno un compendio dei temi a lui cari a : la reciprocità dei sentimenti, la solitudine nell’amore, la costruzione di uno spazio femminile, la cecità del fanatismo terrorista e l’imponderabile arbitrarietà dei destini, soprattutto quando incrociano la Storia. A questi motivi di fondo egli torna forte di una maturità espressiva prima insospettata e tradotta in una scrittura asciutta, esatta e solo apparentemente non allusiva. La cifra stilistica è infatti quella di un naturalismo lucido nei riferimenti e nitido nelle immagini, capace di insinuare la presenza di simbolismi nel dettaglio materiale. Questo vale per i gesti minuti, per gli animali su cui la coppia posa lo sguardo (cigni che «rubano la scena» e cavalli con un «alone di santità») e persino per gli oggetti, come la neve che ricopre l’aeroporto mentre i due personaggi attendono il volo di rientro, creando un inevitabile parallelo con l’epifania sconvolgente nel finale dei «Morti» di Joyce.