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Wattstax, il soul dell’avvenire

Wattstax, il soul dell’avvenireIl cofanetto «Soul’d Out-The Complete Wattstax Collection»

Eventi/Un cofanetto di dodici cd celebra il mitico concerto tenutosi a Los Angeles cinquant’anni fa Sul palco del Memorial Coliseum si esibirono, davanti a 100mila persone, alcuni dei nomi più importanti della black music, da Isaac Hayes a Rufus Thomas

Pubblicato più di un anno faEdizione del 22 aprile 2023

In occasione del 50° anniversario del concerto Wattstax (in realtà tenutosi il 20 agosto 1972 al Los Angeles Memorial Coliseum davanti a più di 100mila persone) esce un monumentale cofanetto con dodici cd (al prezzo non del tutto abbordabile di duecento dollari, nonostante l’elegante confezione con ampio booklet interno), dal titolo Soul’d Out. The Complete Wattstax Collection, che riproduce tutto il concerto, con l’esatta cronologia delle esibizioni, con tanto di presentazioni, rumori, introduzioni. Sono incluse anche le registrazioni di alcuni concerti tenutisi al Summit Club in settembre e ottobre e varie rarità, con ben trentuno inediti. Parte del materiale era già apparso in precedenza, ovviamente nell’omonimo film del 1973 e nei doppi album dello stesso anno, intitolati Wattstax-The Living World e Wattstax-The Living World 2. Il concerto era stato organizzato dalla celeberrima etichetta Stax Records, tra le più autorevoli e rappresentative della scena soul e rhythm and blues americana, per commemorare il settimo anniversario degli incidenti che avevano incendiato il quartiere di Los Angeles, Watts, nell’agosto del 1965 e devolvere il ricavato in beneficenza.

DISORDINI
Sette anni prima, a causa di una serie di arresti indiscriminati di afroamericani da parte della polizia, si scatenarono sei giorni di gravissimi disordini che causarono la morte di trentaquattro persone, il ferimento e arresto di migliaia di dimostranti, duecento milioni di dollari di danni. Negli anni successivi il leader della comunità di Watts, Tommy Jacquette, aveva già organizzato un concerto estivo, il Watts Summer Festival, per dare un sostegno economico ai cittadini dell’area. Riprendendo l’idea di un piccolo evento di quartiere si passò progressivamente a un grande festival che si svolse in un enorme stadio. Il concerto prese forma velocemente, pur tra mille dubbi sull’opportunità di farlo svolgere in una struttura da centomila persone. Ma l’organizzazione riuscì innanzitutto a radunare un cast di altissimo valore e spessore artistico, ad avere con sé una star come Isaac Hayes che proprio quel giorno festeggiava il suo trentesimo compleanno e mettere in vendita i biglietti al modico e popolare prezzo di un dollaro, con il risultato di fare un clamoroso tutto esaurito.
Il palco fu allestito solo il giorno prima del concerto, piazzato in mezzo al campo sportivo e costruito con un’altezza di sei metri, in modo da consentire una visibilità eccellente anche da lontano e poter sistemare i camerini degli artisti nella parte sottostante. Nonostante le tensioni ancora latenti e il timore che una folla così vasta potesse lasciarsi andare a qualche eccesso, non si verificò nessun incidente e le sporadiche invasioni dalle tribune sul campo furono festose e semplicemente danzerecce. Il presidente della Stax, Al Bell ricordò: «È stata un’impresa enorme per noi. Stavamo cercando di fare l’inimmaginabile. Venivamo dall’altra parte del paese, da Memphis, e non avevamo mai fatto niente del genere prima. Volevamo far vedere al mondo il tipo di persone che siamo veramente. Siamo stati sempre così fraintesi. Molti bianchi, quando vedevano due neri camminare insieme, pensavano che ci sarebbe stato un problema. Abbiamo dovuto conviverci per molto tempo».

TIMORI
All’inizio si pensò a un evento da 5mila persone al massimo. Ma quando sono incominciati a circolare i primi nomi e la certezza che il concerto si sarebbe potuto fare, la scelta, pure azzardata, cadde sul Coliseum. Concesso inizialmente, paradossalmente, con la certezza che sarebbe stato un flop clamoroso e di conseguenza avrebbe mortificato sia l’etichetta che la comunità nera. Ancora Al Bell: «Quando è diventato chiaro che Wattstax avrebbe, in effetti, attirato un vasto pubblico sono venuti da noi e hanno detto: “non potete farlo qui”. Pensavano a me come a un ragazzo nero che veniva dal sud e rappresentava solo una piccola etichetta per neri. Non avevano il minimo rispetto, nessuno. Fortunatamente i nostri legali avevano inserito una clausola nel contratto in modo che non potessero uscire dall’accordo».
Uno dei problemi più delicati era il servizio d’ordine. Il timore che potessero succedere incidenti era altissimo ma allo stesso tempo gli organizzatori non volevano avere a che fare con divieti e costrizioni troppo rigide. «Non volevamo insinuare l’idea che non ci fidassimo delle persone che sarebbero state tra il pubblico, persone che si sentivano già prive di diritti civili ed escluse». Ci si affidò dunque al buon senso e quando la gente scavalcò le recinzioni per ballare sul campo (che il giorno dopo avrebbe ospitato una partita di football americano dei Los Angeles Rams, rischiando di rovinare il manto erboso) ci pensò Rufus Thomas dal palco a invitare la gente a tornare al loro posto. Tutto filò liscio, nonostante la presenza tra il pubblico di molti esponenti delle gang dei Bloods e dei Crips che mantennero un profilo basso e pensarono solo a divertirsi.

IN VIDEO
Per lasciare traccia di un evento così importante la Stax decise di finanziare anche un film, assoldando il regista Mel Stuart e la troupe di David Wolper. Tra una esibizione musicale e l’altra ci sono filmati sui residenti di Watts che raccontano la loro vita quotidiana, sguardi sulle attività commerciali locali e interviste, talvolta recitate da attori (tra cui Ted Lange). Non solo musica ma anche il caratterista Richard Pryor e il reverendo Jesse Jackson in qualità di «maestro di cerimonie». Il film creò qualche malumore per avere sacrificato l’esibizione di alcuni protagonisti a favore delle interviste e degli interventi di Pryor ma il concerto viene tuttora ricordato come qualcosa di epico. Il cofanetto appena pubblicato ci restituisce gli spettacolari brani di Isaac Hayes (con una Never Say Goodbye da brividi e il tema di Shaft mai pubblicato in precedenza) e degli incredibili Staple Singers, con la loro miscela di gospel, soul e blues da brividi. Rufus Thomas tiene il palco con canzoni lunghissime (Do the Funky Chicken e Do the Funky Penguin fanno insieme 25 minuti) mentre i Bar-Kays si esibiscono in un repertorio super funky. Ottimi i poco conosciuti Mel & Tim, risalta la grande voce di Johnny Taylor e ci regala un repertorio blues il mago della chitarra Albert King. E ancora vale la pena di citare i Sons of Slum, epigoni di Sly and The Family Stone, Eddie Floyd, Dramatics e Emotions.
Bell aggiunge un ricordo molto efficace: «Vedevi bambini di cinque o sei anni, madri, padri, nonni, nonne. Era come una riunione di famiglia, come un servizio in chiesa; lo stesso tipo di sentimenti e interazioni hanno avuto luogo lì». Carla Thomas concorda: «Ho pensato che il concerto fosse un momento molto spirituale a causa del messaggio per la ricostruzione di Watts e della connessione con la comunità di Watts, e l’intera comunità di Los Angeles, e cosa stava succedendo, e come stava influenzando il mondo intero». Alla fine il concerto raccolse 70mila dollari da devolvere alla comunità e dimostrò (come già aveva palesato l’Harlem Cultural Festival di New York del 1969 da cui è stato tratto il capolavoro cinematografico Summer of Soul) come gli afroamericani non fossero un’entità «nemica» e aliena alla società americana ma ne fossero (ovviamente) parte integrante, non violenta e alla ricerca di uguali diritti. Al Bell: «Volevamo che vedessimo noi stessi e il modo in cui siamo per noi stessi e volevamo che l’America bianca ci vedesse come siamo veramente».

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