Tra Berlusconi e Veltroni c’è, in tema di riforme e di istituzioni, uno scontro titanico. Speriamo che nessuno dei due si avvicini a Palazzo Chigi. Il cavaliere annuncia referendum a raffica, in specie su presidenzialismo e cambi di casacca.

Ma che referendum sono? Non possono essere abrogativi, una forma di governo non si abroga, ma si scrive nella Costituzione, e certo si impone una legge di revisione ex art. 138. Lo stesso vale per i cambi di casacca, per i quali si può pensare che ipotizzi un referendum sull’art. 67 e il divieto di mandato imperativo. Ma il referendum abrogativo non è ammesso sulla norma costituzionale. Se poi pensasse a referendum consultivi o deliberativi, sarebbe comunque necessario fare delle leggi costituzionali ad hoc, non essendo tali referendum previsti o consentiti. Del referendum sulla inappellabilità delle sentenze di assoluzione si può scommettere che agli italiani importi poco o nulla. Almeno a quelli che non hanno a che fare con la giustizia. La ciliegina sulla torta è la flat tax, palesemente incostituzionale per insanabile contrasto con il principio di progressività (Art. 53).

Che con la Costituzione e la salus reipublicae Berlusconi avesse poco a che fare, avevamo già ampia prova. Ma nemmeno Veltroni scherza. Nell’ultima uscita elettorale all’Eliseo ci ha ammonito sulla necessità di tornare al voto qualora dalle urne non escano la sera stessa un vincitore e una maggioranza chiara, secondo il mantra renziano di cui sembra voler assumere la paternità. Ed ha aggiunto che bisognerebbe subito approvare una nuova legge elettorale con un premio di maggioranza al livello stabilito dalla Corte costituzionale.

È curioso che l’esponente di un partito in terza posizione – per quanto è dato sentire e vedere – a pochi giorni dal voto sponsorizzi l’ipotesi di una legge con premio di maggioranza. È una proposta dal sapore vagamente iettatorio. Si vuole proprio consegnare la vittoria all’avversario, non importa quale dei due che precedono. Inoltre, pensa forse Veltroni che nel tempo breve prima del ritorno alle urne la struttura oggi multipolare del sistema politico improvvisamente scompaia? Esiste o no un problema di eccessiva distorsione della rappresentatività delle assemblee quando si sovrappone al voto reale un artificio che prende una minoranza e la gonfia fino alla maggioranza assoluta dei seggi? Esiste o no un problema di debolezza di un parlamento lontano dagli equilibri politici effettivi del paese? È o non è fake una governabilità dell’algoritmo piuttosto che dei consensi?

Veltroni dice anche che il parlamento è di tutti. Ma, evidentemente, non nello stesso modo e nella stessa misura. Trova la risposta in un premio di maggioranza al livello stabilito dalla Corte costituzionale. Ma nelle sue sentenze – 1/2014, 35/2017 – la Corte non ha dato un livello. Ha affermato in principio che il risultato in seggi non deve discostarsi in misura eccessiva dai voti reali, perché ne deriverebbe una distorsione inaccettabile della rappresentatività. Di certo, la Corte non dice che la misura del premio è qualunque misura sia necessaria a garantire la governabilità come maggioranza numerica in parlamento. La rappresentanza politica rimane la pietra angolare del sistema democratico, che può tollerare un bilanciamento con la governabilità, ma non risultarne compressa.

Certo, le pronunce della Corte avrebbero potuto essere più forti e chiare. Troppo ampia è la discrezionalità lasciata al legislatore. Ma da una lettura intelligente si trae la necessità di interpretare la governabilità nel sistema politico del tempo. La domanda non è quale sistema garantisce in ogni caso numeri parlamentari maggioritari, ma come si governa un paese quando la politica non produce quei numeri. È questo il problema che hanno affrontato, senza troppi drammi e patemi, grandi paesi come la Gran Bretagna e la Germania. E noi?

È difficile adeguarsi al nuovo, se non si capisce di non avere più la risposta. Non meraviglia che tornino in campo pulsioni di nuovi attacchi alla Costituzione, nella linea di quelli già respinti. Se accadrà, torneremo in trincea. O forse meglio sarebbe riprendere l’idea di Berlusconi e proporre agli italiani due referendum. Uno per abrogare Berlusconi, e uno per Veltroni.