«Vu cumprà? Non avrei usato quel termine». Di più il presidente del Consiglio non dice, più che una condanna la sua è una presa di distanza dall’espressione razzista che ha usato il ministro dell’interno Angelino Alfano, quando l’altro giorno ha annunciato una stratta contro i rivenditori (quelli stranieri) ambulanti. Che, a suo dire, «molestano» gli italiani. Quella che per il colonnello del Nuovo centrodestra Fabrizio Cicchitto era «una battuta del tutto innocente» finita vittima dell’«ossessione del politicamente non corretto», è risultata al contrario un’espressione talmente infelice da essere condannata un po’ da tutti. Non da Maurizio Gasparri, naturalmente, secondo il quale bisogna «smetterla con l’ipocrisia» perché «l’emergenza immigrati sta rendendo le nostre città invivibili», come il senatore forzista denuncia da alcune decine di anni. L’uscita del ministro dell’interno ha certo ottenuto lo scopo di riportarlo sotto l’attenzione pubblica, bene o male poco importa, e allora il presidente del Veneto Luca Zaia rivendica una primogenitura leghista delle espressioni razziste: «Alfano è un nostro allievo». Non nomina invece Alfano la presidente della camera Laura Boldrini. Ma è certo a lui che voleva riferirsi, scrivendo su facebook che «il livello di coesione di una società dipende anche dall’uso corretto e responsabile delle parole. In politica come nell’informazione la forma è sostanza e le parole non sono mai neutre. L’opinione pubblica, infatti, forma le proprie convinzioni soprattutto attraverso i media e le posizioni espresse da chi svolge ruoli politico-istituzionali. Usare un termine anziché un altro non è quindi un dettaglio».