Presentato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2016, torna un po’ a sorpresa sugli schermi, Voyage of Time: Il cammino della vita di Terrence Malick. Film metafisico, che conduce la mente dello spettatore ai grandi quesiti dell’esistenza non solo umana, ma di tutto l’universo. Chi ha deciso di distribuirlo (Double Line con Lo Scrittoio) non poteva immaginare che proprio in questi giorni l’umanità sarebbe ripiombata (ma quando mai se ne era distanziata?) nelle sue indecenti miserie, nel vuoto di un’azione distruttiva che produce solo macerie e morte. Ecco, chi vedrà Voyage of Time godrà indubbiamente del grande spettacolo della vita (nella quale è compresa ovviamente anche la sua fine che, però, è in grado di produrre altra vita), rifletterà su un tempo indefinito nel quale la nostra presenza non è altro che un dettaglio infinitesimale, e persino i rumori dei cannoni non sono altro che un flebile sibilo. E, infine, potrebbe arrivare alla conclusione che l’enfasi con la quale affrontiamo certi disastri, che noi stessi provochiamo, andrebbe moderata da una buona dose di pudore. «Madre, hai camminato con me nel silenzio, prima che esistesse un mondo. Prima della notte o del giorno. Da sola nella quiete. Quando era il Nulla». Le parole pronunciate da Cate Blanchett, che aprono il documentario con uno schermo nero, procurano una vertigine.

IN POCHE BATTUTE si fa riferimento a un prima senza che vi fosse un tempo, all’esserci del Nulla e, dunque, si allude anche a un tempo che ha iniziato a scorrere con un autentico prima e dopo e a un Nulla che si è determinato in qualcosa. Parole e immagini che conducono sull’orlo di un abisso, di un baratro dove il non essere e l’essere sono separati da un mistero, da una scienza che non può far altro che approssimarsi a un possibile vero, da una fede che si abbandona a un creatore onnipotente. Tutto questo, però, non fa altro che riportare il senso dell’esistente al punto di vista umano. Il viaggio nel tempo, invece, è un autentico scoppio di vita, tra incredibile forza e paurosa fragilità, tra un’eruzione di lava e un’inaspettata pioggia d’acqua. La trama della vita è intricata, si genera atto dopo atto, fenomeno dopo fenomeno, interruzione dopo interruzione.

OGNI PASSO sembra parte di un piano più ampio. O forse è una deviazione non premeditata che ha mutato la direzione di eventi ignari di un destino. Chiedersi il perché del corso della vita non è che l’inizio dell’antropomorfismo, del ridurre tutto l’accaduto a un immenso preliminare per arrivare all’uomo e alle sue disgrazie. È il film stesso che inevitabilmente si avvita in questa contraddizione, che cede al racconto dell’umano rivolto all’umano, ma inascoltato dall’universo. È l’ambizione di parlare alle spalle del mondo, di pensarsi presenti prima di esistere, come fine ultimo. In questo, Malick si conferma un produttore di immagini che cercano la trascendenza. E come sempre, nella complessità si rivela sia la grandezza sia il fallimento di un’impresa metafisica.