Dal momento che – nella sua urticante crudezza – Rangeri ha posto la questione centrale: «Vedere i risultati raggiunti alle elezioni amministrative da alcune liste, sigle, raggruppamenti (definirle “forze” potrebbe sembrare irridente), della sinistra radicale provoca più sconcerto che stupore. Purtroppo non basta un passato di impegno politico e una militanza nel territorio per convincere gli elettori a sostenere organizzazioni che, alla prova dei fatti, non superano lo zero virgola di voti».

Alle prese di posizioni politiche che ne sono seguite («allora vuoi stare con il Pd» di Maurizio Acerbo e Giuliano Granato), Rangeri ha risposto sostenendo che il punto è sostenere i tentativi unitari a sinistra del Pd e non quelli che mettono al primo posto le proprie bandiere e identità. Per ora, i tentativi di Fratoianni e Elly Schlein vanno in questa direzione di «unità a sinistra» e, di conseguenza, a questi si guarda. Il punto è di metodo, non tanto di contenuto.

Nelle macerie in cui siamo, come scrive Ardeni il 23 ottobre, aggrapparsi ai contenuti identitari equivale all’illusione di salvarsi aggrappandosi a un salvagente di spugna in un mare in tempesta. La rappresentanza istituzionale passa per i numeri e, senza un’alleanza con il Pd, non «si costruiscono governi locali e nazionali» (Rangeri, 14 ottobre). La scelta di stare fuori da un’ampia coalizione democratica che comprenda anche il Pd non lascia nessuno spazio elettorale per l’ennesima lista-cartello della sinistra, sostiene anche Antonio Floridia nella sua risposta di sabato 6 novembre. Un modo «utile» per starne fuori, continua Floridia, sarebbe quello di costruire «patti di rappresentanza» tra liste-cartello in grado di prendere più del 3% e il vastissimo arcipelago di mondi sociali, associazioni e movimenti che del Pd non vuole sentire parlare.

Marcando, così, la loro presenza istituzionale. Patti, questi, che potrebbero essere adottati anche da formazioni politiche più consistenti, come Pd e M5S. L’esito complessivo sarebbe quello di ricreare un legame tra partiti e società, rimettendo al centro le forme di intermediazione politica. L’esperienza delle liste civiche «rosso-verdi» (più verdi che rosse, in effetti) alle recenti amministrative guarda in questa direzione: la mobilitazione è stata vera e ampia. Ho partecipato alla creazione della lista civica «Torino Domani», che ha contribuito alla vittoria della coalizione a trazione Pd alle amministrative di Torino, con Sinistra Ecologista, e ho visto in prima persona quanta energia politica, propositiva e «radicale» sia poco o per nulla utilizzata dai partiti politici, Pd in testa. Il civismo politico «rosso-verde» ha permesso un’ampia mobilitazione, ha in parte scombinato le solite logiche spartitorie tra correnti, ha reso più semplice l’innovazione strategica e programmatica di chi – dentro i partiti – ha capito che questa vittoria può essere in realtà il canto del cigno del centro-sinistra, il suo scatto cadaverico.

Il limite è che queste esperienze unitarie, da Roma futura, ad Adesso Trieste, a Torino Domani (da notare il comune riferimento al «tempo» dell’azione) sono solo amministrative. Molti elettori, grazie a queste esperienze e alla scelta unitaria di Sinistra Ecologista, si sono per la prima volta dopo molti anni, sentiti rappresentati al momento del voto. E non è davvero poco. Sarebbe cruciale che la stessa opportunità venisse data a livello regionale e nazionale. Per questo, dovrebbe iniziare un confronto di contenuto tra queste esperienze civiche e politiche rosso-verdi: la strada è lunga e piena di ostacoli ed è necessario partire subito. La prossima campagna elettorale, se non intende contare sull’astensionismo per vincere, deve iniziare domani. Come sarebbe anche opportuno che l’esperienza pilota #FacciamoEleggere del Forum Diseguaglianze e Diversità e dell’associazione «Ti Candido», che ha selezionato e deciso di sostenere 18 candidate e candidati alle amministrative 2021, facendone eleggere 16 (15 eletti nei consigli comunali e 1 sindaco), continuasse e si rafforzasse. Perché, al di là delle formule più o meno unitarie, abbiamo bisogno di una nuova classe dirigente, motivata dai principi della giustizia sociale e ambientale.

L’esito di queste esperienze, per ora, è stato quello di portare persone di valore nei ruoli di consigliere e assessore. In Italia più che altrove, la politica passa solo attraverso la capacità di sedersi nei luoghi del potere: le battaglie di idee e la ricerca della purezza generano molta soddisfazione, ma nessuna capacità di incidere. Sentirsi rappresentati e poter votare persone che avranno ruoli decisionali non è, in politica, una colpa da espiare: è una delle sue condizioni di esistenza.

Twitter @FilBarbera