«Siamo venuti qui per trasformare una visione in realtà». Con tono solenne, parlando in arabo, Meir Ben Shabbat, consigliere per la sicurezza nazionale di Israele, ieri ha salutato Anwar Gargash, il ministro degli esteri degli Emirati, incaricato di accogliere la delegazione israelo-americana all’aeroporto di Abu Dhabi.

In quello stesso momento in Israele i media celebravano con entusiasmo un evento – che segue la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi (“Accordo di Abramo”) annunciata a metà agosto – destinato, ne sono certi, a mutare radicalmente le relazioni con gran parte del mondo arabo e a rafforzare il ruolo  di potenza regionale dello Stato di Israele. «Il volo El Al 971 è decollato dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv alle 11.21 locali ed è atterrato all’aeroporto internazionale di Abu Dhabi alle 15 e 38», ripetevano ieri i giornalisti israeliani facendo notare che il volo ha attraversato lo spazio aereo saudita dopo aver ottenuto il via libera di Riyadh.

Un altro «segnale». In serata Benyamin Netanyahu, rivolgendosi agli israeliani in diretta televisiva, ha parlato «di un giorno storico» e comunicato di aver invitato in Israele una delegazione emiratina. L’obiettivo, ha aggiunto, è quello della «firma ufficiale presto a Washington di un accordo di pace». «Ci sono cose che ora non posso dirvi, le scoprirete al momento opportuno» ha avvertito, facendo capire che presto altri Stati arabi seguiranno le orme degli Emirati.

L’entusiasmo di Israele è giustificato. I vantaggi che l’accordo porta a Tel Aviv sono nettamente superiori a quelli che garantirà agli Emirati, sotto ogni punto di vista. Gargash e Ben Shabatt hanno avviato ieri il primo dei colloqui destinati a dare attuazione pratica alla normalizzazione. Si annunciano intese in molti campi e l’economia israeliana, più dinamica rispetto a quella emiratina, si lancerà alla conquista di un paese che con 74000 dollari è al quinto posto al mondo per reddito pro capite (Israele è 35esimo con 39.000 dollari).

La tv israeliana Canale 13 sostiene che inizialmente il commercio bilaterale toccherà i quattro miliardi di dollari. E i prodotti israeliani, dall’alta tecnologia, alla farmaceutica fino all’agricoltura, invaderanno il mercato degli Emirati. A favore di Abu Dhabi c’è il turismo, con decine di migliaia di israeliani che non vedono l’ora di visitare Dubai e il Golfo.

Ma questo è anche se non soprattutto un accordo che riguarda la sicurezza e l’intelligence. Secondo fonti giornalistiche arabe, i due paesi creeranno sull’isola di Socotra una base per raccogliere informazioni.

Socotra appartiene allo Yemen ma il reggente degli Emirati, il principe Mohammed bin Zayed al Nahyan, non dovrà penare per persuadere il debole governo yemenita che appoggia da anni (assieme ai sauditi) scaricando bombe sui ribelli sciiti Houthi. Socotra è vicina al Corno d’Africa e allo stretto di Bab al Mandab sul Mar Rosso ed è sulle rotte che portano allo Stretto di Hormuz (Golfo), una posizione di eccezionale rilevanza strategica. Sempre secondo le fonti, delegati israeliani e degli Emirati di recente avrebbero visitato l’isola.

All’incontro tra Ben Shabbat e Gargash ha preso parte anche Jared Kushner, genero e inviato di Donald Trump in Medio oriente. Kushner ieri ha detto gli Stati Uniti avrebbero «fatto molto per aiutare i palestinesi» ma questi ultimi, a suo dire, non sarebbero ancora pronti «ad accogliere la pace».

Immediata la replica del premier palestinese Mohammed Shtayyeh. L’accordo tra Emirati e Israele, ha detto, è «una violazione della posizione araba» contraria alla normalizzazione sino a quando lo Stato ebraico non metterà fine all’occupazione militare e i palestinesi avranno il loro Stato indipendente.

Per Netanyahu invece l’accordo con Abu Dhabi è una svolta perché segna la fine del «veto palestinese». Israele, lascia intendere, sarà riconosciuto dagli arabi senza dover prima rendere liberi milioni di palestinesi sotto occupazione militare.