Enrica Arena è piccola e minuta, sorridente. La incontriamo a Villa Necchi Campiglio a Milano, in una giornata uggiosa e fredda. È arrivata da Catania il giorno stesso, invitata dal Fondo Ambiente Italiano a parlare di Orange Fiber e della sua evoluzione. Tutto intorno esplodono i colori degli agrumi, per la manifestazione che riunisce i produttori in una mostra mercato di frutti e piante. Enrica Arena viaggia molto e si porta dietro campioni di stoffa e un foulard, della collezione Orange Fiber lanciata lo scorso anno da Salvatore Ferragamo.

«Tutto è partito dall’idea di voler fare qualche cosa per la Sicilia, poi ci siamo accorte della grande disponibilità di questa materia prima di scarto, presente tutta in un posto» racconta Enrica Arena e sottolinea il vantaggio di non dover utilizzare trasporti per muovere grandi quantità di pastazzo. «Il trasporto su gomma è carissimo, oltre che inquinante».

Vi siete inserite per colmare un vuoto, nessuno prima di voi lavorava gli scarti di arancia…

Non siamo partite subito con l’idea di riutilizzare lo scarto ma, sentendo amici siciliani, dal fatto che alcuni agrumi non venissero raccolti perché non trovavano spazio sul mercato. Da lì abbiamo pensato di riutilizzare questi agrumi in campo tessile. Informandoci in modo più approfondito, ci siamo rese conto che c’erano grandi disponibilità di bucce di agrumi perché non c’era un modo univoco e condiviso di smaltire questo sottoprodotto. Lo abbiamo scoperto sul campo, parlando con le aziende di succhi. Si tratta, inoltre, di un processo che non è rivale all’alimentazione perché si avvale del residuo di una lavorazione per scopi alimentari. Non utilizziamo terreno in più rispetto a quello sfruttato per far crescere le arance. Prendiamo qualcosa che altrimenti dovrebbe essere smaltito.

E’ stato un modo per valorizzare la Sicilia e un settore, quello agricolo?

Anche se non abbiamo un rapporto diretto con l’agricoltore, vogliamo poter valorizzare una produzione tipica. Raccontando la storia degli agrumi che si trasformano. Vogliamo diffondere l’idea di una Sicilia diversa da quella presente nell’immaginario di molti. E’ fatta di produzioni virtuose, di attenzione all’ambiente e di prodotti di eccellenza.

Come è organizzata la produzione?

All’inizio abbiamo chiesto un po’ a tutti, per vedere chi ci avrebbe aperto le porte. In Sicilia si svolge la parte di approvvigionamento della materia prima e l’estrazione della cellulosa. Abbiamo prima lavorato in partnership con uno spremitore di succhi ed è andata molto bene. Poi l’azienda è stata acquisita da un’altra e abbiamo cambiato. Abbiamo trovato un impianto che estrae anche gli oli essenziali dagli agrumi. La materia prima che ci arriva è più lavorata. Non acquistiamo il sottoprodotto, lavoriamo in accordo con l’azienda che ci ospita. Noi ci inseriamo dopo che tutto quello che si può utilizzare della buccia è stato utilizzato. Il nostro è un piccolo impianto pilota, ospitato all’interno dell’azienda di oli essenziali in modo da avere a disposizione direttamente la materia prima. L’idea è di poterlo replicare in associazione ad altre aziende che fanno succhi, inserendoci nella filiera e trasformando lo scarto in tessuto. La seconda fase della produzione, la filatura, avviene in Spagna. Qui la cellulosa viene trasformata in filo utile per la tessitura. Poi da lì, ogni mese, parte l’ultimo step: la tessitura, appunto, che avviene a Como. Qui il filo in «orange fiber» viene mescolato ad altri filati.

Come mai non avete trovato un partner in Italia per la seconda parte della lavorazione?

Non ci sono più aziende che realizzino questa produzione. Purtroppo quella delle fibre cellulosiche è una filiera che in Italia è venuta a mancare circa 20 anni fa. Le aziende che lavoravano nel settore hanno chiuso o spostato la loro sede. E’ stata una scelta obbligata. Adesso stiamo cercando di differenziare i nostri partner, per creare dei prodotti diversi e quindi sbocchi nuovi per il nostro tessuto.

Cosa succede quando d’estate le arance non ci sono?

Siamo legati alla stagionalità del prodotto. La stagione delle arance va da novembre ad aprile e noi cerchiamo di lavorare nello stesso periodo. Cominciamo intorno a gennaio e andiamo avanti fino a giugno, nella fase siciliana. Potremmo essiccare la materia prima per poterla lavorare anche durante l’estate ma si aggiungono costi e consumi di energia al processo. Cerchiamo di estrarre quanta più cellulosa possibile durante il periodo di maturazione del frutto, ma è un problema che ci siamo poste. Stoccare la nostra materia prima è impossibile perché marcisce.

Perché avete deciso di rivolgervi al mondo della moda?

Essendo una lavorazione complessa sapevamo di doverci rivolgere ad un settore che ci avrebbe permesso di riuscire a sostenere i costi. D’altro canto la moda, insieme al cibo, rappresenta l’Italia sul mercato nazionale e all’estero. Abbiamo pensato che l’attenzione alla sostenibilità e ai nuovi materiali potesse essere applicata perfettamente al mondo della moda. Abbiamo incontrato l’interesse di tante aziende, che stanno cercando tessuti alternativi per le loro realizzazioni. Abbiamo trovato nel brand Salvatore Ferragamo delle orecchie molto pronte, perché si tratta di un’azienda attenta ai temi ambientali; sono stati tra i primi ad avere un bilancio di sostenibilità.
Quali sono le vostre intenzioni e i prossimi passi, per replicare la buona pratica e ampliare il vostro impatto?
Per prima cosa vogliamo stabilizzare e rendere continuativo quello che abbiamo fatto fino ad ora. A quel punto dovremo trovare altri partner presso cui installare impianti o trovare altri metodi di collaborazione per poter replicare. Questa idea è fattibile sia in Italia, in altre regioni produttrici di arance e agrumi, ma anche nel resto del mondo. Dipende anche dall’interesse del settore della moda negli altri paesi dove abbiamo esteso il brevetto.