Visioni

VocSet, corpi digitali connessi e disconnessi

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A teatro La coreografia sperimentatrice Ariella Vidach in un nuovo progetto che fonde danza e nuove tecnologie

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 21 marzo 2015

Coreografa, sperimentatrice acuta con il videoartista Claudio Prati del rapporto tra performance e multimedialità, Ariella Vidach con AIEP, Avventure in Elicottero Prodotti, conduce dagli anni Ottanta una feconda ricerca sull’interattività e le nuove tecnologie applicate alla danza. Il suo ultimo lavoro, VOCset, idea e regia sua e di Prati, composizione vocale di Alessandro Bosetti, è già stato presentato in più occasioni. Lo abbiamo visto nello spazio della stessa Vidach, al DiDstudio, Fabbrica del Vapore, di Milano, ne parliamo ora in concomitanza con l’apertura lunedì, sempre a Milano, della tredicesima edizione di Uovo, performing Arts Festival, nel quale andrà in scena sabato prossimo un nuovo pezzo di Vidach, Booth, che prosegue nell’indagine sul rapporto tra corpo e voce, che è centrale nel precedente VOCset.

Ideato per cinque interpreti, Annamaria Aimone, Chiara Ameglio, Riccardo Meroni, Maria Olga Palliani, Fernando Roldan Ferrer, VOCset, di sera in sera, cambia la propria messa in scena, attraverso un sistema in continua mutazione che gioca sulla presenza della voce e della sua elaborazione, accanto al movimento.

Complice al progetto è Alessandro Bosetti, compositore e autore di collage vocali radiofonici e performativi, nonché ideatore del software MASKMirror, che manipola attraverso una tastiera linguaggi e significati. Le sue sperimentazioni hanno più di un legame con il lavoro di Vidach e Prati, che utilizza i software maxSMP e Jitter: in VOCset le parole dei danzatori sono rielaborate in diretta digitalmente, intrecciandosi con i suoni campionati dalla macchina. Questo tessuto sonoro, diversificabile dai danzatori ogni replica, è tutt’uno con movimento e coreografia.

I cinque danzatori diventano i protagonisti di un non-sense coinvolgente, in cui stralci di parole e discorsi prendono strade imprevedibili, muovendo, come una sorta di elastico magma coreografico-sonoro, le persone. Ne esce una riflessione pungente sulla comunicazione, un lavoro in cui il flusso continuo e caotico di informazioni in cui oggi viviamo diventa visione sonora, concreta e tangibile, di quel gap tra connessione costante e solitudine del rapporto io/macchina che è parte del nostro perenne surfeggiare nel web.

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