1. La spinta del sogno è la molla fondamentale per spiegare i traguardi e le realizzazioni più impensabili dell’essere umano. E i sogni degli italiani li troviamo racchiusi in «La vita è un sogno. Voci, volti, speranze e battaglie degli italiani. Dal Settecento al XXI secolo» (Saggiatore, euro 22). In una sorta di antropologia storica che ha l’ambizione di tallonare l’homo italicus inelle sue svariate sfaccettature, si suddivide in «Patria» (antologia sul senso di appartenenza degli italiani), «Dormono sulla collina» (una Spoon River nostrana dei protagonisti del secondo dopoguerra), «Il libro dell’incontro» (su vittime e responsabili della lotta armata a confronto). Realizzato con la collaborazione fondamentale dell’Archivio Diaristico Nazionale, creata da Saverio Tutino a Pieve Santo Stefano, il libro abbraccia gli avvenimenti più importanti di due secoli e mezzo di storia: dalle epidemie di colera alle guerre, dalla nascita dell’industria alla rivoluzione informatica, dalle emigrazioni all’emancipazione femminile. In un excursus popolare, rifuggendo da schematizzazioni varie a partire da quella temporale, parlano un po’ tutti: uomini, donne, giovani, anziani, felici o infelici, disperati o calmi. Il merito del libro è quello di creare un collettivo (il «Noi» di cui parlano i curatori) con questa miriade di testi ricchi di fatti inimmaginabili e approcci semplici alla realtà. Si legga questo straordinario tuffo nel passato della memoria infantile della Befana del 1946. Ne è autrice Antonina: «Ero particolarmente felice quella sera. Avevo appena scoperto il dono che la befana mi avrebbe portato per il Natale ormai imminente. E avevo capito pure che a donarmelo sarebbero stati, in realtà, i miei genitori. Doveva essere una sorpresa, ma io avevo già intuito qualcosa e sentendo mamma e papà parlare di un cappottino rosso, ne avevo avuto la conferma. Vanitosa come tutte le bambine, l’idea di un cappottino nuovo mi aveva reso gioiosa, quasi elettrizzata. Finsi di non capire e di non sapere, e custodii quel segreto tenendolo tutto per me, senza condividerlo neppure con il mio fratellino. Ma solo per poco. Quando mamma e papà ci misero a letto e ci diedero il bacio della buona notte, aspettai che uscissero dalla stanza e confidai a Pinuccio quello che avevo scoperto». Questa scoperta della verità sulla Befana sarà poi sporcata dalla tragedia ma resta un documento eccezionale come tutto ciò che fa parte della memoria di un popolo, e non importa se sono grandi o piccoli ricordi; entrambi abbracciano un vissuto che soltanto questi anni di decadenza della democrazia e del senso sofferto di essere un «popolo» sta distruggendo. Sono raccolti in questo volume pezzi straordinari di vita vissuta ed è un peccato che non possano essere riportati in gran parte qui. Come questa dell’italiana Leonia alla nipote dall’inferno di Dresda nel 1945: «Si cominciava ad essere sgomenti. Nelle strade se si incontrava un amico il saluto era questo: adesso tocca a noi! Non si passava più con indifferenza davanti alla bella Residenza barocca con gli affreschi del Tiepolo, non si guardava più senza sentirsi stringere il cuore, il bel castello antico sulla collina, i bei ponti, le belle chiese. Si guardavano queste cose con un amore mai sentito, perché si presentiva che tutte queste bellezze presto non ci sarebbero state più». E i racconti si susseguono: dall’inevitabilità (o addirittura la sensazione di unica libertà possibile perché non c’erano termini di paragone) di sentirsi fascisti e liberi a quella di sentirsi tutti comunisti. E alla fine del libro e degli svariati racconti sul lavoro e sulle donne si resta sorpresi a pensare che gli argomenti degli italiani, che qui spaziano in un contesto che è maggiormente privato, non disturbano, non sanno di egoismo ma in qualche modo interagiscono sempre con la sfera pubblica. Ciò che non accade più nella nostra epoca in cui il pubblico è lamentela e il privato è malattia. Come uscirne, come riconquistare il “Noi”? Questo libro aiuta intanto a non dimenticare quel che siamo stati.