Con la questione ambientale entrata prepotentemente nei dibattiti nazionali e internazionali recenti, l’attenzione del mondo dell’informazione sull’Antartide è giocoforza cresciuta, offrendo opportunità per approfondire meglio determinati aspetti, come per esempio la ricerca del singoli stati sul territorio.
A questo proposito, abbiamo incontrato due protagonisti della missione italiana in Antartide, PNRA (https://www.pnra.aq/): Alberto Salvati, dirigente tecnologico del CNR presso l’ufficio reti e sistema informativo; Vito Vitale, dirigente di ricerca presso l’Istituto di Scienze Polari (ISP) del CNR di Bologna, impegnato nella ricerca e gestione delle attività polari dal 1986, sia in Antartide che nell’Artico. Con loro si è parlato di programmazione, spese, ricerca, cooperazione.

Cominciamo con la programmazione in corso.
AS: Presso la base Concordia attualmente è in corso la campagna estiva (novembre-febbraio). Si avvicenderanno oltre 80 persone tra ricercatori e tecnici che porteranno avanti le attività afferenti a più di 30 progetti di ricerca inerenti all’astronomia, alle scienze della Terra, alla fisica e alla chimica dell’atmosfera, alla climatologia, e anche alla medicina.
VV: La programmazione strategica è triennale: definisce il quadro di riferimento e le priorità del programma, ma attività ed obiettivi specifici sono dettati dai progetti di ricerca selezionati e finanziati attraverso bandi periodici. Il programma della spedizione è poi implementato per rispondere alle esigenze operative e scientifiche di tali progetti, tenendo conto delle limitate risorse disponibili, e cercando di utilizzarle al meglio. Questione in genere non semplice, visto che non si ha di frequente ciò che il complesso delle richieste richiederebbe. La maggior parte delle risorse allocate vengano usate per la logistica: trasporti da e per Antartide, materiali, gestione basi, sostegno del personale, attività di supporto alla ricerca (banche dati ad esempio).

Quanto coprono in percentuale le spese della logistica?
VV: In tutti i programmi antartici la logistica assorbe la stragrande parte delle risorse. Nel caso del PNRA la percentuale si è aggirata sull’80% con punte anche superiori al 90%. Questo chiaramente non è bene perché in questo modo spendiamo quasi tutto solo per tenere la macchina accesa pronta a partire, e ci resta poco per sostenere chi la macchina la deve usare. Inoltre la pandemia prima, e la pressione sui prezzi di beni come i carburanti dopo, hanno portato per tutti i programmi la questione ad un livello davvero non sostenibile. Tanto è vero che quest’anno diversi programmi hanno ridimensionato le attività scientifiche programmate per ragioni di mero bilancio. La situazione non appare migliorabile nel breve, medio periodo: i prezzi ben difficilmente caleranno fino ai livelli precedenti, mentre la congiuntura economica che quasi tutti i Paesi stanno attraversando rende ben poco realistico un aumento significativo dei finanziamenti.
Detto questo, a mio avviso, in un programma ottimale la percentuale per i costi della logistica dovrebbe aggirarsi intorno al 70%. Nel caso del PNRA ci si potrebbe avvicinare attraverso una giudiziosa revisione delle modalità della spedizione, al fine di ridurre le spese per i trasporti da e per Antartide. Anche un piccolo adeguamento delle risorse assegnate annualmente dalla legge di bilancio al PNRA andrebbe di sicuro fatto.

Quali sono le attività di ricerca della missione italiana nelle sue infrastrutture (la Stazione Mario Zucchelli, la Stazione Concordia, la nave rompighiaccio Laura Bassi)?
VV: La ricerca italiana spazia su quasi tutte le discipline: biologia (terrestre e marina), geologia, geofisica, glaciologia, fisica atmosfera, scienze marine, astronomia/astrofisica, paleoclima, anche tecnologia e scienze mediche (a Concordia quest’ultima disciplina in particolare). Ci sono circa 120 progetti attualmente attivi a diverso livello nell’ambito del PNRA. In rete si può trovare un elenco esaustivo. In tutto, sono circa 90 al momento i progetti rilevanti in termini di carico logistico sulle piattaforme di ricerca e stazioni italiane, o perché richiedono personale dedicato in campo o perché richiedono attività residue da parte di personale degli altri progetti.

Esiste una specificità della ricerca scientifica italiana rispetto a quella di altri Paesi?
VV: Il PNRA ha sviluppato nel tempo due modalità di finanziamento che non sono usuali nei programmi degli altri Paesi: il finanziamento consolidato di misure a lungo termine attraverso la rete degli osservatori permanenti; il finanziamento di progetti specificatamente da sviluppare presso basi straniere (una linea apposita è di solito inserita nella call per progetti di ricerca). A mia conoscenza soprattutto questo secondo strumento rappresenta un unicum nel panorama della ricerca antartica.
Circa la capacità di perseguire obiettivi e priorità strategiche e portare avanti ricerche uniche e innovative, bisogna sempre considerare che volontà e desiderio di coloro che formulano il piano programmatico triennale si devono poi scontrare con la dura realtà della limitatezza delle risorse sia economiche che tecnico-logistiche. D’altra parte è normale (non solo in Italia) ritrovare in questi documenti un bias legato a chi quei documenti prepara e ai suoi interessi specifici.

Parliamo ora di un aspetto senza dubbio importante come quello della cooperazione. Ci potete dire qualcosa della Stazione Concordia?
AS: Concordia è l’unica Stazione realizzata sul continente antartico ad essere gestita da due nazioni: l’Italia e la Francia. La gestione congiunta si basa su un accordo intergovernativo per la cooperazione scientifica in Antartide, attuato dal PNRA per l’Italia e dall’Istituto polare francese IPEV per la Francia. Anche l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha notevole interesse sulle attività che si svolgono presso la base, soprattutto per quanto riguarda i progetti di biomedicina. Concordia, infatti, per le sue particolari e dure condizioni è quanto di più simile ci sia rispetto ad una base presente su un altro pianeta e l’ESA studia le capacità di adattamento dell’uomo a condizioni così estreme e difficili per preparare i futuri viaggi spaziali verso altri pianeti.
La base Concordia è una delle tre stazioni permanenti oggi operanti nell’Antartide continentale ed è situata sul plateau antartico, a 3.233 m di altitudine, nel sito denominato Dome C (75°06’ Sud e 123°21’ Est). Le attività di ricerca riguardano molti settori, tra cui l’astronomia, le scienze della Terra, la fisica e la chimica dell’atmosfera, la climatologia e anche la biomedicina. I progetti di ricerca italiani afferiscono al PNRA, quelli francesi sono in carico all’IPEV e in aggiunta la squadra invernante parteciperà a otto progetti di biomedicina in collaborazione con l’ESA. Il sistema Concordia darà supporto anche al campo remoto di Little Dome C, a circa 35km dalla Stazione Concordia, dove è in corso il progetto europeo Beyond Epica, un importante studio sui cambiamenti climatici che mira ad estrarre dalla calotta glaciale antartica il nucleo di ghiaccio più antico della Terra prelevato a una profondità di circa 3000 metri, per studiarlo e ricavarne preziose informazioni sul clima terrestre risalente a 1,5 milioni di anni fa.

VV: Partiamo con il dire che da sempre il PNRA ha avuto una vocazione alla cooperazione internazionale. La sinergia con il programma francese è figlia di questo interesse alla cooperazione, ma anche frutto di alcune fortunate coincidenze. Tra gli anni 80 e 90 i francesi hanno dovuto abbandonare un loro piano di espansione della presenza in Antartide. Tra i progetti infrastrutturali che languivano c’era appunto la realizzazione di una Stazione permanente sul plateau antartico. Dal lato italiano vi era una gran voglia di arrivare a operare sul plateau, sia da parte della logistica e del suo capo Mario Zucchelli, che da parte della scienza glaciologica che anelava a poter effettuare una perforazione profonda sullo stile di quella che si era da poco completata a Vostok. I primi contatti risalgono al 1993-1994. La logistica italiana aveva oramai capito che l’accesso al plateau via terra dal lato di Baia Terra Nova era praticamente impossibile, e che quindi la sinergia con i francesi era quanto mai necessaria se si voleva operare stabilmente sul Plateau. Quanto ai francesi, se per loro l’accesso via terra era possibile da Dumont D’Urville, quello via aria rimaneva molto più problematico per via delle condizioni climatiche e le difficoltà a realizzare una pista su ghiaccio che fosse affidabile per operazioni frequenti. A partire dal 1997-98 la costruzione della Stazione Concordia inizia davvero a procedere dopo una fase esplorativa, concludendosi nella campagna australe 2004-2005, con il presidio dalla prima squadra invernale che di fatto completa la realizzazione dell’impiantistica interna alla Stazione.

Concordia è l’unica Stazione in Antartide ad essere gestita da più di un Paese, e in questo senso è un caso che tutti guardano e studiano con molta attenzione. È una delle sole 3 stazioni permanenti che si trovano all’interno del continente e tra le 3 (americana e russa le altre due) è l’unica localizzata in uno dei punti di sommità della calotta. Questo fa sì che essa sia molto meno soggetta ai movimenti di scorrimento orizzontale del ghiaccio. E la sua posizione è davvero ottimale per gli studi legati a diverse discipline in particolare glaciologia/paleoclimatologia, fisica dell’atmosfera, astronomia e astrofisica.

Qual è lo stato delle collaborazioni con altri Paesi e della condivisione dati?
VV: Il PNRA porta avanti diverse collaborazioni con gli altri Paesi che operano nel Mare di Ross (americani, neozelandesi e coreani), e anche attività di ricerca nella penisola antartica. Come detto, esiste una linea specifica di finanziamento per i progetti e le attività presso basi straniere. Al di là di americani e neozelandesi, partners anche per ragioni logistiche, l’accordo di collaborazione più lungo è quello con il programma antartico argentino, avviato in pratica già nel 1990-91.
Circa i dati, la politica da sempre attiva nel Trattato Antartico è di piena condivisione delle informazioni scientifiche acquisite. Per promuovere tale politica, esiste un gruppo di coordinamento apposito, lo Standing Committee on Antarctic Data Management (SCADM). Tutte le nazioni che operano in Antartide sono invitate a costituire centri e banche dati antartiche per conservare e rendere disponibili i dati acquisiti. Negli ultimi anni gli strumenti a disposizione per rendere concreta questa politica di open data sono molto migliorati ed evoluti, al punto che adesso l’obiettivo è molto più ragionevole e possibile di quanto si potesse pensare solo 5-10 anni fa. A livello italiano stiamo lavorando a costruire il National Antarctic Data Centre (NADC). In una prima fase ci si è concretati sui metadati, ma contiamo nei prossimi 2-3 anni di fare passi importanti circa la disponibilità dei dati e il loro possibile utilizzo.

Domanda finale: il problema della plastica.
VV: Spesso la scienza è andata avanti per mode. Ma con un sistema dei media come quello attuale, tale tendenza è diventata soverchiante. Non so chi NON stia studiando la presenza e distribuzione di microplastiche in Antartide. Vista la pervasività e il tempo di vita delle microplastiche, la notizia sarebbe stata non averle trovate (un po’ come la notizia dell’uomo che morde il cane). Francamente sono molto poco interessato a unirmi al coro dei miei colleghi che cavalcano l’onda e in questo modo a volte si fanno facile pubblicità.
Cosa ci dice la microplastica in Antartide? Che il sistema non ha compartimenti stagni e barriere invalicabili, ma questo lo sapevamo già. Così come sappiamo bene che sette miliardi di persone che agiscono in modo non certo particolarmente rispettoso delle esigenze dell’ambiente non possono per nulla far bene al nostro Pianeta.

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Antartide: il contesto
Per avere le informazioni essenziali sulla missione italiana in Antartide, il punto di riferimento principale è senza dubbio il sito: https://www.pnra.aq/.
Le infrastrutture in uso per le ricerche sono tre: la Stazione Mario Zucchelli, la Stazione Concordia, e la nave rompighiaccio Laura Bassi. Fra questi spazi, la Mario Zucchelli rappresenta l’infrastruttura «storica». Come si legge dal sito, «la costruzione della base iniziò nel 1985, con il nome di Baia Terra Nova ed è proseguita nei decenni successivi con ampliamenti sempre più consistenti. Nel 2005 fu rinominata Stazione Mario Zucchelli.» Ma chi era Zucchelli?

Vito Vitale, che ha condiviso con lui diverse spedizioni, lo ricorda così: «nella metà degli anni 80, Zucchelli era il Direttore del centro ricerche ENEA del Brasimone, il centro più avanzato che ENEA aveva, dove si portava avanti tra mille polemiche e proteste la realizzazione di un reattore sperimentale, il PEC. Nel 1987, da un lato, l’incidente di Cernobyl’ aveva creato le condizioni per lo stop al programma nucleare in Italia e quindi al ridimensionamento del centro.

Dall’altro, il PNRA si ritrova in un momento davvero difficile: la terza spedizione si era chiusa con un principio di incendio nella base, danneggiando in parte l’impiantistica interna già realizzata. L’obiettivo di avere una stazione italiana entro i 5 anni di durata del progetto e del finanziamento (la prima legge era solo quinquennale e solo nel 1992 il PNRA si libera da una scadenza temporale) sembra essere a forte rischio. ENEA decide di dover cambiare passo nella conduzione della attività e nella gestione del rapporto con la ditta che ha l’appalto per la realizzazione stazione. Zucchelli è l’uomo adatto: ha diretto il centro e la costruzione di uno degli impianti per l’epoca tra i più avveniristici, in mezzo a proteste feroci e in un posto non certo facile come localizzazione (l’alto appennino bolognese a cavallo tra Emilia e Toscana)».

E ancora: «Zucchelli è stato fondamentale per il PNRA, lo ha strutturato: ha portato a compimento prima la realizzazione della stazione e poi, nel tempo, il suo ampliamento. È la persona che ha fortemente voluto l’accordo con i francesi per Concordia. Ha portato l’Italia nel contesto dei Programmi polari e l’ha resa protagonista. In questa sua opera di certo fu anche facilitato da un PNRA che all’epoca era indubbiamente molto più ricco di quanto non lo sia ora. Insomma: era un uomo che ha sempre dato tutto per il PNRA, che lui vedeva come una sua creatura. Un gran lavoratore e persona – mi dicono – dalla memoria di ferro».

Quanto invece alle azioni della missione italiana sul territorio, queste – come quelle condotte dagli altri Paesi con loro infrastrutture in Antartide – sono regolate dal Trattato Antartico (1959) a cui l’Italia ha aderito nel 1981. Con l’adozione del protocollo di Madrid (1991) la moratoria originale per le attività economiche, di durata trentennale, è stata estesa per altri cinquant’anni, facendo si che fino al 2041 l’Antartide sia una «riserva naturale dedicata alla pace e alla ricerca».

In ultimo, un film e due libri. Diversamente da alcuni Paesi che hanno usato l’Antartide come immaginario per proprie narrazioni popolari – si pensi al capolavoro horror-filosofico La cosa (J. Carpenter, 1982) per gli Stati Uniti, oppure alla bellissima serie anime A Place Further Than the Universe (studio Madhouse, 2018) per il Giappone – le «immagini italiane» sono sostanzialmente documentarie.

Fra queste, val la pena segnalare il film di Carlo Mauri, disponibile in rete, che racconta la nostra prima spedizione scientifica sul continente (novembre 1968-febbraio 1969). Per la parte geologica, fra i membri di quella spedizione ci fu Marcello Manzoni, di cui si possono consigliare due suoi libri: Zingari in Antartide (Alpine Studio, 2014), che racconta la storia di quella prima spedizione; Prospettiva Antartide (Unicopli, 1989), che presenta una prospettiva più da studio.