Potrebbe essere, e forse è, essa stessa un «microcosmo» la città friulana che con la sua stratificazione longobarda, medievale e di diverse epoche successive, se ne sta appartata ai margini della regione, a pochi passi dal confine sloveno. Un piccolo mondo urbano sotto le valli del Natisone, arroccato nelle sue mura e dietro i suoi ponti. Con delle curiose contraddizioni, come (una per tutte) la chiusura per ferie di alcuni negozi centrali proprio nei giorni di maggior afflusso turistico, in occasione di Mittelfest.

La manifestazione da più di vent’anni celebra il rapporto privilegiato di questa zona con la cultura mitteleuropea: quest’anno in particolare ha segnato il ritorno, per la maggiore iniziativa spettacolare, di colui che di Mittelfest è stato l’inventore primo, e a lungo direttore: lo scrittore e regista Giorgio Pressburger. Che ha messo in scena, con un lungo percorso spettacolare notturno attraverso la città, un testo dell’intellettuale principe di questa regione, Microcosmi di Claudio Magris.

Doveva essere una inaugurazione assai spettacolare, ma la fatica ha finito col prevalere sugli spettatori: raggiungere nove diverse stazioni, per lo più simili (come lo sono tutte le suggestive piazzette di un paese antico), sempre in piedi e spesso senza vedere oltre le prime file, ha fatto prevalere lo sforzo di volontà sul godimento. Forse, col pubblico seduto in una grande platea all’aperto, quelle nove diverse visioni rivelatrici, fulminanti quanto circoscritte, ne avrebbero guadagnato in concentrazione. Che è l’essenza di quella scrittura di Magris, così come l’apertura e il cambiamento e il «passaggio» lo sono di Danubio, l’altro suo testo che con la regia dello stesso Pressburger fu una trionfale esperienza di tanti Mittelfest fa. Di questi Microcosmi restano molte suggestioni, a cominciare dalla enorme copertina del libro che costituiva l’accesso allo spettacolo, la conduzione rassicurante di Giorgio Lupano in veste di narratore, diversi flash visionari (come la presenza emozionante di Ariella Reggio, o quella ispida di Mauro Corona nella parte di se stesso); ma anche i copioni in mano che rincorrevano i pensieri nell’aria.

In ogni caso è stata un’esperienza incomparabilmente positiva, rispetto al titolo che la sera prima, al teatro Giovanni da Udine, aveva costituito l’inaugurazione effettiva di questa edizione del festival, il prevedibile «delirio» tecno esistenziale di Tomaz Pandur, regista sloveno da sempre tendente all’esteriorità, che applica ora a Michelangelo e al suo Giudizio Universale nella cappella Sistina l’estremismo esperienziale a suo tempo giocato con la Commedia dantesca in tre serate, e poi applicato ad altri titoli altisonanti della cultura occidentale. Qui anche il testo del grande poeta e drammaturgo croato Miroslav Krlea viene sommerso dalle parole riscritte dallo stesso regista e da sua sorella Livjia drammaturga. La loro banalità ridimensiona fruizione e stimoli di ogni loro spettacolo, e non bastano i pruriginosi ammiccamenti di Pandur all’omosessualità e all’estremismo di Buonarroti a risvegliare un interesse contemporaneo: la vicenda del pittore detto Braghetta per aver rivestito di braghe le creature del Giudizio dipinte nude, suona su quella scena di immense strutture di ferro sinceramente veterogoliardica.

Ma una sorpresa c’era, nella curiosa programmazione d’apertura di Mittelfest, in una delle tante sezioni in cui il festival è stato suddiviso, intitolate a Pasolini come a «canti e suoni» disparati, comprese le csardas ungheresi. E non è stata certo l’imbarazzante arroganza con cui Lina Wertmuller ha preteso di raccontare in 80 minuti l’intero ‘900, con una grossolanità tale da non poter proprio essere considerata casuale. [do action=”citazione”]La bella sorpresa è arrivata, per quanto «incredibile», con un testo del 1963 mai visto sulle scene, proprio da Pier Paolo Pasolini. Un canovaccio per una coreografia mai realizzata, ma che a rileggerlo oggi contiene già moltissimi degli elementi che caratterizzeranno il teatro che il poeta di Casarsa scriverà un paio d’anni dopo, sei commedie scritte tutte di seguito, in una pausa della sua attività cinematografica dovuta a una malattia.[/do]

Vivo e Coscienza è il titolo del testo, e a interpretare i due personaggi così chiamati, avrebbero dovuto essere Ninetto Davoli e Laura Betti. La composizione della partitura sarebbe stata affidata a Bruno Maderna, e le coreografie a un artista che poteva essere Maurice Bejart, o più probabilmente Jerome Robbins, fresco del successo planetario di West Side Story; il tutto prodotto e commissionato dalla Biennale di Venezia. Non se ne fece niente, resta solo il riscontro nel volume dei Meridiani dedicato da Walter Siti al teatro di Pasolini. Che si era molto appassionato (e magari invogliato ad emulare) per i Sette peccati capitali di Brecht e Weill, protagoniste alla voce la stessa Betti e alla danza Carla Fracci. Perché il tema della seduzione è quello centrale nel testo, formato da quattro episodi distanziati nei secoli e nei decenni (come nel successivo Calderon), ma intimamente legati nell’iterazione di un bacio che la Coscienza consapevole tenta di ottenere dalla irruenza tutta corporale di Vivo. Il coreografo Luca Veggetti ha proposto questo illustre repechage alla Civica Scuola Paolo Grassi di Milano, che l’ha prodotta e realizzata, affidandone le musiche a Paolo Aralla. Non meno motivata e illustre è stata la scelta della voce che leggesse, e legasse, didascalie e frammenti originari: Francesco Leonetti, ultimo rappresentante della rivista Officina creata e diretta con lo stesso Pasolini e con Roberto Roversi. Un’esperienza piena di stimoli ed emozioni per il pubblico, e una prova di maturità professionale per gli allievi danzatori che l’hanno interpretata, e che si spera continuerà a girare.

Tra alti e bassi, il Mittelfest 2013 si conclude domani. Ma è chiaro che un bel lavoro attende la giunta neoeletta di Debora Serracchiani, che si troverà a dover cercare nuovi equilibri e presenze nelle diverse manifestazioni e istituzioni culturali della regione.