«Che fare quando si vive nelle vicinanze di un vulcano?» si chiede Amos Gitai nella presentazione della sua installazione – The Law of the Pursuer – che vedremo durante la Berlinale nella mostra «The Stars Down to Earth» – all’interno della sezione della Berlinale Forum Expanded (9- 19 febbraio). Il vulcano a cui fa riferimento il regista e artista israeliano è il suo Paese natale con i conflitti che lo lacerano da decenni. Come può un artista raccontare e riflettere su questi eventi? Nell’opera in questione Gitai si confronta in particolare con uno dei nodi centrali della storia di Israele: l’omicidio nel 1995 del primo ministro Yitzhak Rabin per mano di un estremista di destra, che ha segnato il tramonto dell’accordo tra Palestina e Israele e l’inizio di un lungo declino che arriva fino a oggi.

Il regista lavora sulla «cronaca» di questo omicidio – sulla sua permanenza o al contrario del suo deterioramento progressivo nella memoria collettiva – ormai da anni. Nel 2015 al Festival di Venezia aveva presentato in concorso Rabin – The Last Day, che ripercorreva l’ultimo giorno del leader degli accordi di Oslo, mentre l’anno scorso il Maxxi di Roma ha ospitato Rabin – Chronicle of an Assassination Foretold, una mostra multimediale che analizzava ancora una volta l’evento che ha segnato la storia di Israele e della Palestina, e di cui l’installazione al Forum Expanded rappresenta un’ulteriore evoluzione.
Al film e alla mostra si aggiunge anche un’altra prospettiva sull’evento, quella teatrale, in uno spettacolo portato sulle scene del Festival d’Avignon lo scorso luglio: Yitzhak Rabin – Chronique d’un Assassinat. Ma tutti questi progetti sono le molte facce di un prisma in cui si riflette il medesimo evento che ha reso la speranza di una pace sempre più lontana. Utilizzando diverse forme espressive Gitai nella sua opera realizza così una «resurrezione della memoria» che va contro il potere e il suo desiderio di cancellarla, di imporre l’obbedienza e «annullare il dissenso».

Che cambiamenti ha subito la mostra sull’omicidio di Rabin nel corso dell’anno trascorso dalla presentazione a Roma?
Ci sarà la performance musicale di un violinista israeliano insieme a un suonatore di qanun siriano rifugiato a Berlino. Mi interessa molto questo dialogo musicale tra un siriano e un israeliano che abbatte una frontiera così grande.

In che modo il conflitto in Siria è collegato all’omicidio di Rabin su cui si concentra l’installazione?
Penso che l’eliminazione di Rabin dalla scena politica abbia aperto le porte alle tendenze più estremiste nella regione mediorientale con la distruzione di ogni possibile accordo di pace. Nell’ambito di queste riflessioni politiche le arti non sono, o non dovrebbero essere, solo degli esercizi formali. Ovviamente c’è sempre una componente formale nella realizzazione di un film, o di una mostra, o nell’architettura, ma trovo che questa componente stia occupando sempre più, e troppo, spazio. Credo che il nostro compito sia di opporci ai rigidi esercizi di stile, vuoti di significato. Ovviamente l’alternativa non è realizzare delle opere noiose, didattiche e demagogiche. Piuttosto il contrario: dobbiamo introdurre nei nostri lavori degli elementi di senso, consentire la loro esistenza all’interno delle opere d’arte.

Nella sua poesia accenna a suo padre, un architetto che ha fatto parte del Bauhaus, la scuola chiusa da Goebbels perché i regimi autoritari si sentono minacciati dalle «forme minimaliste».
Ci troviamo in un momento molto difficile per l’intero pianeta, in cui assistiamo un po’ ovunque all’ ascesa di tendenze autoritarie. Nella poesia faccio riferimento a mio padre e al Bauhaus perché l’epoca della repubblica di Weimar è stata particolarmente feconda in termini artistici : il minimalismo, la pittura astratta… Oggi invece credo che tutte le forme artistiche siano troppo magniloquenti e senza un obiettivo. Il cinema ad esempio è spesso puro e vuoto intrattenimento, che non comunica nulla. Dobbiamo rifiutare un’arte narcisista, che non dialoga col suo contesto.

Come si è svolta e come continuerà in futuro la sua ricerca sull’ omicidio di Rabin?
La mostra espone il processo di elaborazione di un gesto artistico derivato da un evento traumatico: la morte di Rabin. Ma non mi interessa il culto della personalità, neanche nei confronti di un uomo per il quale ho simpatia come lui. Presto porterò al Lincoln Center di New York, insieme al mio «circo kibbutz»,Yitzhak Rabin – Chronique d’un Assassinat, lo spettacolo che è andato in scena al Festival di Avignone . Le protagoniste sono due grandi attrici: la palestinese Hiam Abbas e l’israeliana Sarah Adler.

Ci sono anche altri progetti a cui sta lavorando?
Sto girando un documentario che ripercorre uno dei miei primi film, Field Diary (1982), esattamente a 35 anni dalla sua uscita nel 1982. Quel film era girato in Libano e in alcuni dei territori occupati della Cisgiordania prima e durante la guerra e l’invasione del Libano. Nel documentario tornerò a visitare quei luoghi per vedere cosa è cambiato.

Lo scorso novembre ha messo in scena al San Carlo di Napoli, un adattamento dell’«Otello» di Shakespeare.
Ero a Napoli per presentare Rabin – The Last Day, e lì il direttore del teatro mi ha proposto di dirigere Otello. Per me era una cosa nuova, che peraltro sentivo come molto distante dal mio mondo. Nella mia rappresentazione Otello è un uomo che viene dall’Africa, bellissimo e dileggiato, e sono gli europei che distruggono la sua relazione con Desdemona. È un tema che penso risuoni fortemente nei nostri tempi, così come la poesia di Brecht che ho proiettato sul palco: Domande di un lettore operaio. Sono molto soddisfatto del risultato e della squadra con cui ho lavorato, Dante Ferretti per esempio ha realizzato delle bellissime scenografie.

Le recenti parole di Trump sembrano aver incoraggiato il governo israeliano a moltiplicare le colonie. Ma il presidente americano non ha fatto menzione degli ebrei nel suo discorso per la Giornata della memoria. Che ne pensa?
Gli artisti non possono rimpiazzare i giornalisti commentando la cronaca, il loro compito è mettere gli eventi in prospettiva. Per questo rispetto a fatti del genere io mi sento solo un cittadino preoccupato. Trump è un fondamentalista cristiano, negazionista, appoggiato da gruppi razzisti. Anche l’America dovrà svegliarsi dal torpore del comfort e prendere posizione.