La situazione di crisi legata alla pandemia ha bruscamente enfatizzato l’importanza dell’oggetto-casa e messo in luce come la stratificazione sociale del paese si riverbera plasticamente non solo nelle caratteristiche fisiche dell’abitazione, ma anche nelle sue forme di possesso.

In Italia, infatti, a vivere in affitto è soprattutto la popolazione più povera o precaria, mentre la proprietà della casa ha sempre rappresentato, nella cultura e nella prassi nazionali, l’emblema dalla stabilità. In sintonia con decenni di politiche pubbliche che hanno incentivato la proprietà dell’abitazione, ciò ha fatto sì che l’Italia sia oggi un paese in cui l’80% della popolazione vive in una casa di proprietà. In questo quadro, il settore dell’affitto è sempre stato marginale. A cui si accompagna la debolezza cronica dell’edilizia pubblica: segnata da decessi di disinvestimento e privatizzazione, quest’ultima non è oggi in grado di rispondere, se non in misura parziale, alle necessità della popolazione più bisognosa (oggi sono circa 650.000 le famiglie in attesa di un alloggio pubblico).

Su questo sfondo la crisi innescata dal Covid-19 amplificherà ancora di più il divario esistente tra proprietari e affittuari, esacerbando la crisi che, già prima della pandemia, colpiva soprattutto la popolazione in affitto. Nel 2014 in Italia erano quasi 1,3 milioni le famiglie che spendevano più del 40% del proprio reddito nell’affitto. Per molte di queste una diminuzione di reddito connessa alla pandemia potrebbe significare l’impossibilità di continuare a pagare l’affitto. A fronte di tutto ciò, il governo non ha fatto quasi nulla. L’unico intervento promosso in questi mesi è stato l’aumento di 60 milioni del “Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione” – ma queste sono solo briciole rispetto alle reali esigenze. E nel «Decreto Rilancio» non compare una sola riga sul tema dell’abitazione in affitto, mentre della principale misura prevista in relazione alla casa (lo sgravio fiscale per gli interventi di riqualificazione energetica) beneficeranno essenzialmente i proprietari.

Ci sarà dunque (e, forse, già c’è) una crisi nella crisi: quella di chi vive in affitto. In questo quadro, a essere colpiti saranno soprattutto i migranti. Questi ultimi, infatti, vivono nella maggior parte dei casi in affitto e sono tra i più esposti a situazioni di disagio abitativo. I motivi sono diversi. In primis, i migranti non possono contare sul supporto della famiglia nell’accesso alla casa – dovendo spesso, al contrario, sostenere economicamente i propri famigliari rimasti nel paese di origine. Non è un caso che mentre il 76,5% degli italiani vive in una casa in proprietà, questa percentuale crolla al 27,9% quando il nucleo è composto da almeno uno straniero. In secundis, in molti casi i migranti non possono contare sul sostegno pubblico, per esempio a causa di forme di discriminazione. È questo il caso della Lombardia, che per molto tempo ha previsto il vincolo di 5 anni di residenza nella regione per poter accedere all’edilizia pubblica, vincolo che è stato rimosso solo recentemente grazie all’intervento della Corte Costituzionale. Per di più capita che l’affitto richiesto ai migranti sia più alto (secondo alcune ricerche, del 10-20%) rispetto a quanto verrebbe chiesto a un italiano. Tutto ciò si interseca con un quadro in cui i migranti versano in molti casi in situazioni di povertà o comunque percepiscono salari molti bassi. Tutto ciò vale per i migranti regolati. Se si rivolge l’attenzione ai migranti irregolari, la situazione diventa ancora più drammatica, visto che costoro sono costretti a rivolgersi al mercato nero dell’affitto. Non solo ciò determina che, in molti casi, le condizioni abitative sono pessime, ma anche che questi migranti non hanno alcuna delle tutele offerte a chi affitta regolarmente.

Se dunque, per milioni di persone in Italia, la pandemia ha portato con sé (talvolta in maniera drammatica) la sottolineatura della centralità della casa, tale centralità non si è riverberata nel dibattito pubblico e tanto meno nell’azione di governo – in linea, purtroppo, con la decennale marginalizzazione politica delle questioni legale alla casa in Italia.