«Sono immerso nella musica da quando ho memoria di me»: le stesse identiche parole con cui Roman Vlad dava inizio al suo «racconto autobiografico», Vivere la musica (Einaudi 2009), pubblicato in occasione dei suoi novant’anni, raccontano alla perfezione l’esistenza di chi quel libro, insieme a Silvia Cappellini, ha curato con affetto e con dedizione: Vittorio Bonolis, musicista riservato e schivo, che il 20 marzo scorso, alla età di 83 anni, ci ha lasciato.

ANCHE PER LUI la musica, in ognuna delle sue forme, è stata la compagna di tutta la vita. Nato il 16 gennaio del 1941, all’inizio del conflitto mondiale, si diploma giovanissimo, in pianoforte e in composizione, al Conservatorio di S. Cecilia. E subito si immerge nella professione «militante» del musicista. Alla fine degli anni Sessanta entra alla Rai come consulente musicale, ma ben presto scopre la passione per la direzione d’orchestra e si diploma al Conservatorio di Frosinone.
Da allora, Bonolis segue due strade parallele: da una parte il podio, mostrando una attitudine e una predilezione particolari per la direzione di coro, dall’altra il lavoro all’interno della Rai: si occupa della programmazione di uno strumento fondamentale di divulgazione musicale come la filodiffusione, cerca di dare spazio e respiro a uno dei complessi più preziosi creati dal servizio pubblico: il Coro da Camera della Radiotelevisione Italiana, fondato da Vittorio Antonellini e difeso da Bonolis contro i molti tentativi di chiusura.

NON TRASCURA il microfono e per alcuni anni cura e conduce una serie di trasmissioni musicali a Radio Uno e Radio Due. Infine, all’inizio degli anni Ottanta viene nominato capo struttura dell’Orchestra e del Coro di Roma della Rai: un ruolo che svolge con rigore e competenza fino allo scioglimento dei complessi sinfonici e corali deciso dai vertici dell’azienda nel 1993. Una ferita che per Bonolis non si è mai rimarginata.
La musica, però, ha continuato a vivere accanto a lui e all’interno della sua famiglia: negli anni 2000 sposa Elizabeth Norberg- Schulz, norvegese di nascita, italiana di adozione, una delle voci più brillanti della scena teatrale europea e al suo esempio si ispira il figlio, Gabriele, che oggi è uno dei direttori più attivi e apprezzati del panorama italiano. Vittorio è stato un musicista autentico, colto, curioso, vicino alla musica del nostro tempo, una passione che ha unito a un tratto gentile, ironico e sorridente che non ha mai abbandonato, fino agli ultimi giorni di vita.