La dura battaglia tra il primo gruppo mediatico argentino e il governo, ha dato ragione allo Stato. La Ley de medios che limita i monopoli audiovisivi è stata riconosciuta dalla Corte Suprema in modo definitivo come costituzionale. Superati tutti i cavilli giudiziari, ora non sono possibili nuove istanze, la legge deve essere applicata senza altri tentennamenti. Il gruppo Clarín dovrà vendere buona parte delle sue proprietà per rientrare nei limiti consentiti dalla norma. Sancita il 10 ottobre 2009 la legge non era finora entrata in vigore per via della resistenza dei diretti interessati, in primo luogo Clarín, in chiara posizione monopolistica. Solo attraverso la tv via cavo, molto diffusa nel Paese, gestisce oltre 200 concessioni, oltre a radio, riviste, case editrici e providers Internet. Il suo alfiere però è il quotidiano stampato Clarín, benché di giornali ne abbia cinque, oltre l’agenzia stampa Dyn (Diarios y Noticias) fondata nel 1982 durante la dittatura. Il gruppo possiede anche Canal 13 e TN, due importanti canali televisivi. Ma ci sono anche altri che dovranno ridurre la loro presenza, tra cui gli spagnoli di Prisa (editori di El País) e Telefónica.

Con i tempi che corrono è difficile trovare governi che decidano di affrontare i monopoli. Il neoliberismo ha portato ad un’alta concentrazione della proprietà. Come è ovvio il problema non riguarda solo l’Argentina. Ogni indagine sullo stato dell’economia globale indica che la crisi non la pagano tutti, anzi, i ricchi, le banche e i manager continuano a registrare sempre più alti margini di profitto. Il Rapporto 2013 dell’Ocse spiega che tra il 2007 e il 2010 la povertà e le diseguaglianze sono aumentate più che nei dodici anni precedenti. In Italia, secondo il Sole 24 Ore, nel 2012 i cento dirigenti più pagati di Piazza Affari hanno guadagnato 402 milioni di euro lordi complessivi, cioè 50 milioni in più di quanto hanno guadagnato nel 2011 e un centinaio di milioni in più del 2010. Questo processo di accumulazione ha generato monopoli sempre più poderosi in grado di esercitare pressioni su governi, magistrati e forze economiche nazionali ed internazionali. Smontare questi nuclei di potere sarà un compito difficile ma inevitabile se vogliamo che la parola democrazia abbia ancora un qualche significato. In Argentina negli ultimi quattro anni il gruppo Clarín con i suoi alleati ha lanciato una campagna per delegittimare il governo di Cristina Kirchner che solo due anni fa era stato votato dal 54% degli argentini. Una battaglia che ha polarizzato l’opinione pubblica fino al contrasto sociale. I piccoli gruppi di potere hanno più voce che la maggioranza. Tutto il governo era sorvegliato speciale, ogni errore e passo falso, ogni mancanza è riportata in prima pagina come l’evento eclatante del giorno, obbligando gli altri media a dare risposta e così a convalidare l’importanza del fatto, spesso anche marginale.

Domenica scorsa, alle elezioni di medio termine, si è potuto verificare le conseguenze di questo logorio. Non c’era Cristina Kirchner, fisicamente perché reduce di un delicato intervento chirurgico, ma anche assente perché le figure proposte per il rinnovo delle Camere non possono raccogliere il consenso di un candidato alla presidenza come la Kirchner. Quindi è sbagliato dire che il suo peso è passato dal 54% al 34%, ma è vero che il governo ha fatto errori che dovranno essere superati se si vuole pensare al dopodomani.

La destra che si è raggruppata e ha avuto voce grazie al gruppo Clarín, dice ora di temere per la libertà di stampa e il diritto all’informazione imparziale. Temono che il governo manipoli l’opinione pubblica attraverso i media, ma non temono che la commistione tra potere economico e mediatico annulli la pluralità. In realtà la legge non concentra ma distribuisce e fraziona i media dando voce alla società, tra cui Ong, Onlus, associazionismo, università e territorio. I mezzi audiovisivi non devono essere strumento del mercato guidati dall’audience, cioè dagli interessi della pubblicità che riescono a catturare. Anche lo spazio della pubblicità per la nuova normativa dovrà essere limitato. Al primo posto non è il profitto ma la diffusione della cultura. Noi lottiamo ancora per rendere possibile l’impossibile, l’Argentina ci dimostra che non siamo ingenui.