Luglio è mese fortunato per la governatrice di Tokyo, Yuriko Koike. Domenica il Tomin first no Kai, il partito da lei fondato lo scorso gennaio, ha vinto le elezioni metropolitane nella capitale. L’anno scorso, sempre a luglio, Koike era stata eletta governatrice della capitale con una vittoria sorprendente contro il suo ex partito, il Partito Liberaldemocratico (Ldp) del primo ministro Shinzo Abe.
Il partito di Koike si è assicurato 49 seggi su 127, ai quali si aggiungono 6 indipendenti strettamente alleati, mentre il partito al governo nazionale, l’Ldp, dimezza i seggi a 23.

IL PARTITO COMUNISTA si è confermato principale forza di opposizione con 19 seggi, due in più rispetto alle precedenti elezioni. Il Tomin first no kai – «Prima gli abitanti di Tokyo» – governerà con l’appoggio del Komeito, un partito di ispirazione buddista, e senza bisogno dell’Lpd. Questa vittoria è un’ulteriore rivincita politica di Koike, che l’anno scorso si era candidata contro il volere del suo partito alla carica di governatrice di Tokyo.

LA GOVERNATRICE ha fatto una lunga carriera nell’Ldp: è stata ministra dell’ambiente e della difesa, ha inoltre tentato di guadagnarsi la presidenza del partito e la guida del paese nel 2008, non riuscendoci. Proprio questo fallito tentativo sarebbe all’origine della rottura con la leadership e con Abe in particolare. Così, bloccata la successione interna al partito, la scommessa della Koike sarebbe, quindi, quella di diventare la prima donna primo ministro del Giappone vincendo il sostegno del suo vecchio partito dal di fuori.

LA GIORNATA DI IERI ha portato diverse dimissioni. Prime fra tutte quelle di Koike dall’Ldp, presentate già da tempo, ma accettate formalmente solo ora. La motivazione espressa dalla governatrice è di rispettare la separazione delle competenze con l’assemblea a livello metropolitano. La stampa più critica vede però il disegno lungimirante della Koike. Il timore sarebbe quello di doversi giustificare per eventuali scandali o frasi fuori luogo che ne danneggerebbero la popolarità. Infatti, tra gli eletti del suo nuovo partito vi sono diverse figure con posizioni nazionaliste di estrema destra. La governatrice stessa è allineata sulle posizioni più revisioniste dell’amministrazione Abe, in particolare sulla revisione della costituzione pacifista.

PROPRIO GLI SCANDALI che hanno coinvolto il governo negli ultimi mesi sono considerati la causa del calo di consensi dell’Ldp e sono stati all’origine di un’altra serie di dimissioni all’interno del Partito liberaldemocratico, la cui dirigenza non ha voluto addossare la colpa per questa sconfitta direttamente su Abe, anche se gli umori dell’elettorato erano chiari in campagna elettorale. Abe si è tenuto distante dalla competizione e ha partecipato solo a due eventi, di cui uno al chiuso.

L’UNICA MANIFESTAZIONE pubblica alla quale è apparso, ad Akihabara, lo ha visto in grande difficoltà. Al grido Abe yameru – «Abe dimettiti» – degli attivisti più irriducibili si sono uniti anche molti altri, comuni, partecipanti. Questi eventi sono letti dai commentatori come il sintomo di un malessere profondo in un Giappone di solito cortese, anche con i primi ministri.
Quella che si è svolta e che continuerà a combattersi nei prossimi mesi è una battaglia tutta interna alla destra giapponese insomma, che non sembra essere in crisi di consensi. L’unico che ora teme sul serio è il premier Abe, se non ancora direttamente per Koike, per le altre habatsu, le potenti correnti interne del partito che potrebbero ritenerlo al tramonto.